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di GIAN LUIGI RONDI MARATHON, di Amir Naderi, con Sarah Paul, Stati Uniti, 2002.

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Emigrato negli Stati Uniti, non si è fatto coinvolgere dalle diverse concezioni di quell'industria del cinema ed è rimasto fedele al suo realismo visionario e simbolico impegnandosi a «raccontare» New York («Manhattan by Numbers», «A.B.C. Manhattan»). New York anche oggi. Non però le sue case e le sue strade (salvo nel finale), ma vista solo quasi dal basso, dai binari della metropolitana, perché, alla «maratona» del titolo si dedica una giovane donna intenta a vincere un proprio record personale, la compilazione, in sole ventiquattr'ore, di una settantina e più di parole incrociate, scegliendo come cornici quasi soltanto i treni che congiungono l'una all'altra le tante stazioni sotterranee di New York. Immagini in bianco e nero, attorno gente e gesti quotidiani, niente musica, solo suoni e i rumori di quegli sfondi, e ogni tanto la voce della madre della giovane che, anche lei, ha compiuto a suo tempo quella stessa maratona, così nella segreteria telefonica, può lasciare incitamenti e consigli. Ai suoni, spesso, seguono immagini mute, come alla fine quando, vinto il suo record, la donna, stanca ma soddisfatta, contempla da una finestra di casa una fitta nevicata che imbianca tutto: con la tensione poetica di una pacificazione interiore. Realismo, cronaca, analisi in diretta di un personaggio, ritratto di una ossessione ed anche, appunto, poesia. Raggiunti sempre con un segno d'autore che, ad ogni pagina, si fa stile. Vi si adegua, esplorata in ogni dettaglio, la recitazione della protagonista, Sarah Paul, che con intensità concretissime, sa essere, e farsi, tutt'uno con il film. E con il suo linguaggio.

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