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di GIAN LUIGI RONDI PIAZZA DELLE CINQUE LUNE, di Renzo Martinelli, con Donald Sutherland, ...

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ANCORA, al cinema, il caso Moro. Dopo il tentativo, mal riuscito, di Giuseppe Ferrara negli Ottanta. Adesso è la volta di Renzo Martinelli che, dopo «Porzus» e «Vajont», tenderebbe a farsi ritenere esponente di un nostro nuovo cinema civile. In realtà il suo modello è Hollywood e quei suoi film che aspirano a mettere l'accento sui guasti della società americana. Così, anziché con il poliziotto pronto alla pensione, fatto subito attento a un nuovo caso, comincia con un giudice di Siena (Donald Sutherland) che il giorno in cui conclude la sua carriera entra in contatto con una «gola profonda» prodigo di notizie sul sequestro Moro, fino a metterlo sulle tracce della versione integrale del famoso memoriale e dandogli modo di risalire, al di là di quelle circostanze, ai mandanti del sequestro, che non sarebbero solo dei servizi segreti deviati, come nel film di Ferrara, ma addirittura la Cia perché Moro, preparando l'arrivo al governo dei comunisti, stava contravvenendo all'equilibrio geopolitico sancito a Yalta. Rivelazioni, queste, insieme con la faccenda del memoriale, che grondano sangue, difatti il giudice e una sua collega che gli dà man forte (Stefania Rocca, nel personaggio femminile di turno) vengono coinvolti in una serie di sciagure da cui pochi usciranno vivi. Lo schema noto del thriller che, pur prodigo di allusioni e di insinuazioni sulla tragica vicenda del nostro grande statista, batte tutte le strade possibili per far spettacolo, anche con personaggi di comodo, con cornici di consumo turistico (Siena, il Palio, la Torre del Mangia) e con un fitto corredo di dialoghi chiamati, in modo anche prolisso, a dar tutte le chiavi, o le già note o le possibili, del «giallo». C'è anche un «cattivo» che si scopre alla fine, ma Giancarlo Giannini lo interpreta con una grinta tale da lasciar poco spazio alle sorprese.

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