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di MARIA MATALUNO QUANDO accarezziamo con lo sguardo i nostri libri riuniti in bell'ordine ...

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Anzi, capita che ci domandiamo : quando moriremo, a chi li lasceremo? Perché un libro, nella nostra mente, è eterno, come inattaccabili dal tempo sono la fantasia e la sapienza che l'hanno prodotto. Invece, come ogni essere vivente, anche il libro può ammalarsi, invecchiare e morire. Oppure guarire e tornare a nuova vita, grazie alle cure di medici premurosi, come quelli che lavorano nell'Istituto Centrale della Patologia del Libro di Roma, il più importante "ospedale" italiano del libro. In questo antico palazzo nel cuore di Roma, già sede di un giardino botanico di cui sopravvivono palme, agavi e camelie, arrivano solo i pazienti più illustri: codici miniati, manoscritti, incunaboli ed edizioni autografe. I volumi, provenienti per lo più da biblioteche e archivi statali, vengono visitati da un'équipe di chimici, fisici, archeologi del libro e restauratori, e quindi sottoposti a delicati interventi. Ma quali sono le malattie di un libro? Il museo dell'istituto ne mette in mostra le principali: si va dai processi chimici come l'ossidazione e l'idrolisi all'assalto di insetti e microrganismi, dai disastri naturali come l'alluvione di Firenze del 1966 a quelli provocati dall'uomo, incendi oppure forme errate di conservazione. Per ogni malattia c'è la cura adatta, anch'essa documentata minuziosamente nella sezione dedicata al restauro (le altre due si occupano dei materiali e dei danni): deacidificazione e smacchiamento della carta, consolidamento e ricostruzione di lacune, disinfestazioni contro termiti, tarli, blatte e altri animaletti avidi di carta. Niente è lasciato al caso, quando si tratta di salvare un libro dal logorio del tempo, e i restauratori lavorano con lo stesso senso di responsabilità di un chirurgo che si accinga a operare un uomo. Persino la quantità dei loro strumenti fa pensare a quelli contenuti nella valigetta di un dottore: bisturi, pennelli, spatola, forbici, colla, guanti in lattice, mascherina, mazzuolo di legno, stecca d'osso. La direttrice dell'istituto, Armida Batori, è tuttavia decisa a sfatare la metafora che assimila i libri a pazienti bisognosi di cure: «L'idea che il nostro compito sia quello di guarire i libri dai danni provocati dal tempo e dall'abuso degli uomini è insito nel nome stesso dell'Istituto, che nel 1938, adottando il termine medico "patologia", fu contagiato dalla moda positivista tipica di quell'epoca. Ma a partire dagli anni Ottanta, con la nascita di una nuova disciplina chiamata archeologia del libro, si è fatta strada l'idea che la conservazione del patrimonio librario debba puntare soprattutto sulla prevenzione diretta e indiretta, ovvero sul controllo degli ambienti in cui sono conservati i volumi. Il restauro è solo il rimedio estremo a un male estremo». Un compito importantissimo, se si considera che un numero enorme di volumi - circa un miliardo, secondo le stime della Bibliothéque Nationale de France - è destinato, nell'arco dei prossimi 150 anni, a trasformarsi in polvere. La minaccia incombe su tutti i libri pubblicati dal 1850 ad oggi, da quando cioè si è cominciato a fabbricare la carta usando impasti provenienti dal legno anziché dagli stracci di lino e canapa, come avveniva in precedenza: questi impasti contengono infatti lignina, una sostanza facilmente degradabile e soggetta all'acidificazione, e collanti ricchi di resina e allume che aumentano ulteriormente l'acidità della carta. «L'Istituto Centrale della Patologia del Libro - conclude la dottoressa Batori - ha già elaborato alcuni interessanti progetti, ma per una soluzione definitiva dovremo aspettare un ulteriore salto tecnologico, che ci permetta di trovare il sistema più efficace ed economico per combattere il fenomeno della carta acida».

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