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Coronavirus, senza mascherine c'è il rischio paralisi. Il disperato appello dei medici a Mattarella

Carlo Antini
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I medici anestesisti rianimatori e dell'emergenza-urgenza, in prima linea nella lotta contro il coronavirus, lanciano il loro grido di allarme per le «esigue scorte» di dispositivi di protezione individuale (Dpi), soprattutto quelli con i livelli di sicurezza maggiori, adeguati a prevenire i contagi nelle manovre cliniche più suscettibili di contatto diretto con i malati. «Tale problema, che sta diventando in queste ore altrettanto grave rispetto a quelli costituiti della carenza dei posti letto nelle Rianimazioni e dei pochi anestesisti rianimatori in grado di gestirli, rischia di paralizzare o quantomeno di rallentare, soprattutto nelle realtà regionali a oggi maggiormente colpite dalla pandemia, l'efficacia del loro impegno nel tentativo di salvare il maggior numero possibile di vite umane», rimarca Alessandro Vergallo, presidente Aaroi-Emac, in una lettera indirizzata a Sergio Mattarella in cui si chiede l'intervento del capo dello Stato. E un appello analogo è stato lanciato da Anaao-Assomed, associazione dei medici e dirigenti sanitari, al premier Giuseppe Conte e al ministro della Salute Roberto Speranza.  Per approfondire leggi anche: Confine con la Francia "pericoloso" Secondo l'Istituto superiore di sanità, gli operatori contagiati sono quasi 2mila. La carenza di mascherine adeguate è stata anche al centro di una polemica tra la Protezione civile e la Lombardia, con l'assessore al Welfare Giulio Gallera che ha rimarcato come si senta dire in continuazione dal personale in prima linea che hanno «autonomia per un giorno, per due giorni». «Abbiamo acquistato e distribuito a oggi più di 4 milioni di mascherine», ha rassicurato Gallera, verranno quindi riforniti il personale medico, i medici di medicina generale e coloro che lavorano nelle Rsa, nei servizi sanitari e socio-assistenziali. Un soccorso all'Italia arriverà anche dall'Europa. Germania e Francia hanno sbloccato l'esportazione di mascherine e Berlino ne invierà un milione. Sul fronte interno, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria sta valutando di riconvertire le lavorazioni sartoriali presenti in alcune carceri, dove vengono impiegati i detenuti, nella produzione di mascherine di tipo chirurgico in "tessuto non tessuto". Sarebbero nell'ordine delle migliaia i dispositivi che potrebbero essere prodotti ogni giorno nei 25 laboratori presenti negli istituti italiani. Per poter avviare il processo produttivo, si attende l'assenso dell'Istituto superiore di sanità sulle caratteristiche delle mascherine.

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