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Sfida per l'energia del futuro, così abbiamo perso il treno per il nucleare pulito

Luigi Bisignani
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Caro direttore, toccherà ora ad Anna Maria Bernini, tenace ministra dell’Università e della Ricerca Scientifica capire il reale motivo del «rinvio sine die», in Italia, degli studi sulla fusione nucleare controllata, di tipo «pulito». Sia il governo Draghi che i precedenti, in buona compagnia dell’Eni, hanno sempre messo il freno a mano al progetto, beneficiando invece i soliti noti a Parigi e Bruxelles. Perché? Il tema è tornato d’attualità dal 5 dicembre scorso, quando un team del Lawrence Livermore Lab del DOE ha concluso con successo un esperimento di portata storica, ottenendo l’accensione a fusione con guadagno di potenza. La svolta cambierà il futuro dell’energia e della difesa nazionale americana ma nessuno ha ricordato che dietro questi studi c’è il frutto di un lungo impegno e lavoro paziente di un team italiano guidato, sin dagli anni 60, dal professor Bruno Coppi, un giovanotto ottantenne da anni al Mit di Boston, guru mondiale della fisica del plasma, bistrattato in Italia da tutti i recenti governi di centro-sinistra, in particolare dal poco lungimirante ministro della Ricerca Francesco Profumo.

È di Coppi l’intuizione di «Ignitor», il super magnete che dovrebbe gestire la fusione di deuterio e trizio a confinamento magnetico in grado di contenere l’effetto del fenomeno termonucleare. Studi proiettati verso una logica di industrializzazione per lo sviluppo di piccole centrali elettriche a fusione; perciò veniva giustamente spinto con il supporto decisivo del governo italiano in stretta collaborazione con le massime autorità scientifiche e politiche dell’allora Amministrazione degli Stati Uniti. L’iniziativa fu una delle più brillanti intuizioni e successi del governo Berlusconi, che lo fece addirittura approvare dal Cipe come «Progetto Bandiera» grazie al lavoro dell’allora ministro Maria Stella Gelmini, del sottosegretario Gianni Letta e dall’allora direttore generale della ricerca nazionale Antonio Agostini, oggi alto magistrato alla Corte dei Conti, in collaborazione con il gotha scientifico nazionale, statunitense e sovietico. Agostini, in particolare, aveva intuito l’importanza strategica della ricerca sulla fusione nucleare a confinamento magnetico, in grado di consentire all’umanità di disporre di grandi quantità di energia prodotta in modo sicuro, pulito, sostenibile e senza alcuna emissione di gas serra. Rivoluzionarie le potenzialità di tale progetto, in grado di sviluppare sistemi capaci di produrre energia con caratteristiche particolarmente attraenti e che trovano applicazione in molti campi, come i dispositivi di diagnostica medica.

La fiducia concessa a scienziati come i professori Bignami, Petronzio, D’Amico, Veltri, Ferrari, chiamati presso il Ministero, era un valore aggiunto all’eccellenza. Un sistema messo in condizioni di verificare e valorizzare gli studi e i risultati di una preziosa rete nazionale di gruppi di ricerca sorta agli inizi degli anni settanta, con una solida base e motivazione scientifica, in cui si erano formati Gruppi attivi nello studio della fisica dei plasmi: il Gruppo di Frascati e Roma (Brunelli, Magistrelli, Persico e Rasetti) concentrato sulla fisica sperimentale; quello di Milano (guidato da Caldirola) che si dedicava alla fisica teorica e quello di Padova, dei Gruppi guidati da Someda e Gasparini. Un patrimonio scientifico volutamente non valorizzato a dovere. Perche?

Ma il giallo non finisce qui. Tempo fa Eni ha annunciato di aver condotto con successo, assieme a CFS e al MIT di Boston, il primo test al mondo del magnete con tecnologia superconduttiva Hts, creando le condizioni per confinare il plasma nei futuri reattori per la produzione di energia, mettendo da parte il team di Coppi. Tuttavia, dopo un gran battage, in gran segreto, il primo vero esperimento è fallito, provocando un vero disastro. Il ministro Bernini dovrà ora capire i motivi per i quali il programma di Coppi, supportato da fondi pubblici, sia stato abbandonato. Studi in linea con la grande tradizione che parte dai ragazzi di via Panisperna di Ettore Majorana, che fa nascere a Roma la fisica nucleare, fino a Felice Ippolito, esperto del CNEN e più recentemente Stefano Buono che con il suo Kead Fast Reactor (LFR) utilizza il piombo come refrigerante al posto dell’acqua, per arrivare ai saggi di piazzale Kennedy, quando il Ministero della Ricerca aveva una dignità fisica.

È forse arrivato il momento, con il governo di centrodestra, di capire quali sono i poteri che sistematicamente lucrano sui pregi della ricerca nazionale e che hanno mortificato la ricerca nucleare in Italia, a beneficio esattamente di chi, forse proprio della Francia? Negli anni 70-80 la spinta era certamente venuta dalla sinistra extraparlamentare e ambientalista (di quest’ultima è illustre figura il Commissario Gentiloni) assieme a frange dei nostri Servizi, per favorire la cessione del nostro nucleare Oltralpe, magari per avere un occhio di riguardo per quei terroristi «rossi» rifugiati a Parigi. Ma oggi? E perché Mario Draghi, che conosce ed apprezza Bruno Coppi che lo aveva accolto al Mit da giovane, non ha mai voluto riceverlo né rispondere alle sue lettere, rimandandolo al solito Francesco Giavazzi che lo ha letteralmente ignorato? Ma c’è dell’altro. Come mai Maria Chiara Carrozza, da sempre vicina al parigino Letta, stranamente passata da Ministro della Ricerca a presiedere il CNR, ha fatto di tutto per mortificare i programmi del professor Coppi, acclamato non solo negli Stati Uniti come uno dei più prestigiosi fisici del plasma al mondo e che insegnava alla Normale di Pisa quando la Carrozza era una bimba, al punto da negargli in Italia addirittura l’uso della sala riunioni? Per dirla con Andreotti «a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina». E Parigi, ancora una volta, ringrazia. Meloni ne tenga conto.
 

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