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Taiwan, "come scoppia la guerra con la Cina". La profezia di Caracciolo sul piano inclinato

Giada Oricchio
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Cina-Taiwan come Russia-Ucraina? E Usa terzo incomodo interessato? Il rischio di una terza guerra mondiale si fa sempre più concreto. Lucio Caracciolo, direttore della scuola e della rivista Limes ha analizzato il nuovo fronte in un’editoriale per il quotidiano La Stampa.

L’incipit non è rassicurante: “Cina e Stati Uniti sono su un piano inclinato che porta alla guerra. Questione di tempi e di modi. L’unica via per impedirla è che entrambi riconoscano il pericolo e accettino di regolare per via negoziale le loro dispute. Ne siamo più lontani che mai”.

A scatenare l’ira di Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare cinese, è stata la visita lampo a Taiwan di Nancy Pelosi, presidente della Camera americana. Il viaggio sull’isola contesa (Pechino la rivendica come propria provincia, Taiwan si è autoproclamata indipendente anni fa) è considerato una “provocazione” dal Dragone che ha reagito con lo stop all’export di sabbia naturale verso l’isola (materia necessaria per i semiconduttori, nda) e con una serie di “operazioni militari mirate” che accerchieranno l’isola dal 4 al 7 agosto. Un linguaggio che sinistramente evoca l’ “operazione militare speciale” della Russia contro l'Ucraina come ha scritto Caracciolo prima di avvertire: “Data la robusta presenza aeronavale americana nell'area, il rischio di un conflitto per incidente è palpabile. Né Washington né Pechino paiono oggi disposte allo scontro. Ma, si sa, le guerre non sempre si decidono. Accadono. C'è un paradosso nella missione di Pelosi. Biden l'aveva sconsigliata, riferendo in pubblico che il Pentagono la considerava ‘non una buona idea’”.

Poi l’esperto di geopolitica ha decodificato l’obiettivo inespresso degli strateghi americani: “La fine del regime comunista e la nascita di diverse Cine più o meno indipendenti. Così scongiurando la minaccia del "sorpasso" della Cina sull'America. Ma una cosa è fissare l'orizzonte di medio-lungo periodo, altra spingere involontariamente verso la resa dei conti. L'America non vuole la guerra. Spera che dopodomani la questione cinese si risolva da sola, per suicidio del regime comunista, in perfetto stile sovietico. Ma è pronta a combattere oggi, domani o dopodomani se Pechino attaccasse Taiwan. Non può non farlo. Perché se rinunciasse a difendere la "sua" Cina consegnerebbe all'altra Cina lo scettro di Numero Uno planetario”.

Sull’altro fronte, anche la Repubblica Popolare cinese, militarmente inferiore, almeno sulla carta, non pare avere grande interesse a una guerra, non fosse altro perché comprometterebbe l’ascesa economica.  “Xi Jinping ha però deciso di porre un ultimatum a sé stesso e ai suoi eventuali successori avvertendo che Taiwan tornerà a casa entro il 2049. Con le buone o con le cattive – si legge su La Stampa e su Limes -. La partita sarà probabilmente risolta prima di quella scadenza. Difficilmente con le buone. A quel punto forse scopriremo che per realizzare il sogno della Cina Unica, Xi ne avrà prodotte una mezza dozzina” ha concluso Caracciolo.

 

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