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Il terrore ci spinge a continuare a usare le mascherine e a non darci la mano

Benedetta Frucci
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Sono passati più di due anni da quando l'Italia si è fermata: il lockdown sembra un ricordo lontano, eppure, ancora oggi, c'è chi porta i segni di quella stagione. Basta guardare al rapporto degli italiani con le mascherine: siamo stati fra gli ultimi in Europa a far cadere l'obbligo di indossarle, dopo aver sperimentato l'assurdità di coprirci il volto anche all'aria aperta. Nonostante questo, la maggior parte continua a metterle. Scelta legittima, ma indicativa di un clima di terrore difficile da eradicare. Nessuno poi vuole più stringersi la mano: un gesto bellissimo e naturale che è stato demonizzato e così, se proviamo a tenderla, ci troviamo con questa imbarazzante mano a mezz'aria, sentendoci quasi colpevoli di aver fatto un gesto un tempo così naturale e meravigliosamente fisico. Le restrizioni hanno però prodotto conseguenze ben più gravi di un volto coperto e di una mano non stretta.

 

 

Prima di tutto fra i ragazzi, privati della scuola e della socialità: secondo un Rapporto Unicef un giovane su tre manifesta, in seguito alla pandemia, problemi psicologici, uno su cinque depressione, uno su sette patologie psichiatriche. L'Italia, che ha subito le restrizioni più dure, detiene anche il record di Neet: sono il 23.1% i ragazzi che non studiano e non lavorano, un dato ancora superiore al livello prepandemia. Al disastro della didattica a distanza, si aggiunga anche che l'8,6 % degli studenti non ha potuto usufruirne, un dato che raddoppia se si considerano gli alunni delle scuole elementari. Ma portano i segni delle folli e sconsiderate chiusure anche tutti quegli imprenditori e quei commercianti che hanno dovuto chiudere i battenti. Nel solo settore della ristorazione, sono scomparse 45000 attività. Era davvero necessario fermare l'Italia? Se in un primo momento, di fronte a un virus sconosciuto, la scelta del Governo Conte poteva essere accettabile, in un secondo momento non ha trovato più grande giustificazione. La politica ha fatto, per pavidità e per ideologia, un passo indietro, lasciando che la scienza decidesse per tutti. Comitati tecnici scientifici, campagne terroristiche, chiusure indiscriminate e gogna per chi osava alzare la mano e dire che forse, in quella primavera del 2020 le scuole e le attività produttive andavano riaperte.

 

 

Il problema che si pone non è solo economico e sociale, ma investe anche la nostra democrazia. Come pochi coraggiosi - penso a Matteo Renzi, Matteo Salvini e a qualche intellettuale come Sabino Cassese - fecero notare fin dall'inizio, il valore della libertà su cui si basa la cultura occidentale non poteva venire meno, superato dalla grande paura. L'Italia ha invece preferito seguire il modello cinese, esportandolo in tutta Europa. Ma a due anni di distanza, l'esempio europeo, confrontato con quello cinese, dimostra che la chiave per la lotta al Covid risiede in vaccini efficienti, e non nell'obiettivo impossibile del covid zero realizzato a suon di chiusure. Quello che accade a Shangai ci dimostra plasticamente che il modello dei lockdown è un modello perdente. Un modello che sacrifica, senza ragione, diritti e libertà individuali. Ma c'è di più. Mentre il Paese era chiuso, vittima dell'incantesimo della paura, mentre i morti affollavano gli ospedali, accadevano cose poco chiare, dall'intervento russo a Bergamo, alle speculazioni sulle mascherine e sui respiratori cinesi. Esiste una responsabilità nella gestione del Covid da parte del governo Conte? Senza scomodare le procure, una commissione parlamentare d'inchiesta potrebbe appurarlo ma nulla si muove, per l'opposizione di quel partito, il M5S, protagonista dell'era della gestione pandemica.

 

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