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Dalla festa del papà a Vladimir Putin: il mondo post Covid parla solo di salute e medicine

Antonio Siberia
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L'uomo e la donna convivono da sempre con la paura della morte. L'attore Carmelo Bene, di cui è caduto il 16 marzo scorso il ventesimo anno dalla scomparsa, in uno dei suoi spettacoli teatrali più riusciti, «Hamlet Suite», tratto da Jules Laforgue, recitava: «Io morire?!.. Sì, d'accordo, si muore... Ma non essere più... Non esserci più. Parole, parole, parole (...). E allora, se l'idea della morte mi è così lontana, vuol dire che la vita mi ha in balia, vuol dire che la vita mi reclama, e allora: vita mia, a noi due!». Perché l'arte - anche con una certa ironia e disincanto - ha fatto sempre i conti con la fine. Questi due anni di pandemia e di Virus però hanno mutato molte cose. La nostra società, già medicalizzata e pronta a (quasi) tutto pur di non invecchiare si è ritrovata di colpo impotente davanti al Covid. Questo inciampo tragico, oltre alle paure e ai timori, ha ulteriormente alzato il nostro desiderio di diventare invulnerabili. E tutto, in breve tempo, si è ulteriormente medicalizzato.

 

 

Un atteggiamento culturale che oggi si intravede in diversi aspetti della cronaca quotidiana e del dibattito pubblico. Prendiamo ad esempio la guerra russa in Ucraina: quante volte in queste settimane abbiamo sentito delle riflessioni in televisione o sui giornali rispetto alla salute del presidente russo Vladimir Putin. Come se la decisione di muovere una guerra, invadendo l'Ucraina, dovesse aver a che fare con il check-up medico di Putin e non con la violenza del Potere cheda millenni - caratterizza le vicende umane. Oggi, per uscire dalla guerra e parlare di una cosa allegra, è San Giuseppe, la Festa del papà. Ebbene un evento che fino a qualche decennio fa era di pura festa oggi s'accompagna, talvolta, ad un memento per i maschi: cari padri sopra gli anta di età, ricordatevi di farvi controllare il psa e la prostata. La salute prima di tutto, questo è un suggerimento proverbiale. «Mens sana in corpore sano», dicevano i latini ma un conto è volersi bene altro medicalizzare ogni aspetto delle nostre esistenze.

 

 

Persino il sesso oggi, in questi tempi di paure e di immortalità impossibili, anziché un incrocio di avventura e di scoperta, di piacere e di mistero, di desideri, sembra diventato asettico. La rivoluzione sessuale del secolo scorso, con quella sua promiscuità birichina ed anche eccessiva, oggi non sarebbe possibile. Troppa virtualità nei rapporti quotidiani. Perché la medicalizzazione muta i costumi e la realtà della vita e - come ha ben spiegato il filosofo francese Michel Foucault- cambia anche i nostri rapporti con le libertà. Non è questione di aver nostalgia del passato ma semmai di fare una semplice constatazione sul mutamento dei tempi. Alla Festa del papà in passato si portavano millefoglie carichi di crema e spumante per festeggiare. Oggi, oltre agli auguri, la società ricorda agli uomini di controllarsi la prostata. Come siamo cambiati. Non ci resta che sostituire il vecchio «ciao, come stai?» con un «dica 33» e poi saremo tutti pronti per il nuovo mondo. Medicalizzato.

 

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