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Covid, non ci sono terze dosi per tutti: niente vaccino per dodici milioni di italiani

Dario Martini
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Il generale Figliuolo ha fissato gli obiettivi della campagna vaccinale per le prossime due settimane. Dal 13 al 26 dicembre le Regioni dovranno fare 6,3 milioni di iniezioni contro il Covid. La tabella inviata ai governatori prevede i traguardi da centrare: da lunedì 13 a venerdì 17 minimo 500mila dosi al giorno, sabato 18 e domenica 19 si scende a 350mila, dal 20 al 24 si torna a 500mila, per finire con 300mila sia a Natale che a Santo Stefano. Difficile fare meglio. Anche a giugno e a luglio, quando gli hub viaggiavano al massimo della loro capacità, la media delle somministrazioni giornaliere era questa.

Andrebbe tutto bene, quindi, se non ci fosse un piccolo problema. Infatti, anche rispettando i "target" fissati dal commissario all'emergenza, nella migliore delle ipotesi a fine dicembre avremo più di 12 milioni di italiani che non avranno fatto ancora la terza dose nonostante ne abbiano diritto, essendo trascorsi più di cinque mesi dalla seconda somministrazione. L'inconveniente, quindi, non è la mancanza delle fiale o la scarsa efficienza di medici e infermieri.

La realtà è che l'Italia è partita tardi con le terze dosi. Errore che, ad esempio, non hanno commesso Israele e Stati Uniti. Fa effetto vedere il nostro governo esortare continuamente gli italiani a fare il "richiamo" senza perdere altro tempo. Il ministro della Salute Roberto Speranza, i vertici dell'Istituto superiore di sanità, quelli dell'Agenzia italiana del farmaco e i componenti del Comitato tecnico scientifico non perdono occasione per ricordare quanto sia importante fare la terza dose nei tempi previsti. Inizialmente, avevano stabilito che sarebbero bastati sei mesi dopo la seconda dose.

Poi, anche sulla scorta dell'esempio che veniva dall'estero , hanno corretto il tiro: da sei mesi siamo passati a cinque. Eppure, ora ci rendiamo conto che dodici milioni di italiani dovranno rassegnarsi ad attendere con pazienza il loro turno. Ben oltre i cinque mesi previsti. I dati non mentono. Fino ad oggi in Italia sono state somministrate 10,8 milioni di terze dosi. Abbiamo detto che Figliuolo intende fare altre 6,3 milioni di iniezioni entro Santo Stefano. Ipotizziamo, nella migliore delle ipotesi, che siano quasi tutti "richiami" (ovviamente si presenterà anche qualche no vax pentito per la prima dose). Significa che a Santo Stefano gli italiani "super" immunizzati saranno circa 17 milioni. Eppure, entro quella data, gli aventi diritto al "booster", che avranno superato i 5 mesi, saranno più di 29 milioni. Vuol dire che ci saranno ancora 12 milioni di cittadini in attesa. Non significa che saranno abbandonati al loro destino. È vero che l'efficacia del vaccino, nonostante cali col tempo, continuerà a proteggere anche nei mesi successivi. Il punto, però, è un altro.

Dopo cinque mesi dalla seconda dose, ogni italiano avrebbe diritto a ricevere subito la terza. Purtroppo, non sarà così. I problemi non finiscono qui. In un Paese sviluppato, che appartiene al G8, ci si aspetta che i documenti ufficiali pubblicati dalle autorità sanitarie siano affidabili. Ieri, invece, abbiamo scoperto che nel giro di soli sette giorni l'Istituto superiore di sanità ha cambiato idea sul grado di protezione dei vaccini.

Nel bollettino di una settimana fa, infatti, scriveva che dopo 5 mesi l'efficacia dei sieri anti-Covid nel prevenire la malattia non grave cala dal 75 al 44%. Nel report di ieri, invece, scrive che il calo è più consistente: dal 74 si passa al 39%. La scienza, per definizione, non ha certezze assolute. Ma è sconcertante come in così poco tempo la correzione sia addirittura di cinque punti percentuali. Peggio della Lehman Brothers in una sola settimana. 

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