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Covid: topi modificati e aerosol, così è il modello italiano per studiare il virus che tutti ci copiano

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Replica in maniera più realistica quello che succede quando un uomo si infetta con il coronavirus Sars-CoV-2. E permette agli scienziati di studiarlo meglio, promettendo di accelerare la ricerca sulla malattia Covid e lo sviluppo di soluzioni terapeutiche più efficaci. È made in Italy il nuovo modello sperimentale per Covid-19. A metterlo a punto scienziati dell’Irccs ospedale San Raffaele di Milano. Elementi cardine? Un aerosol che mima la dinamica del contagio e topi transgenici. I ricercatori sono riusciti così a riprodurre l’infezione naturale da Sars-CoV-2 in un modello animale. Il sistema è in grado di migliorare l’accuratezza della ricerca scientifica internazionale su Covid, spiegano i "papà" del modello, descritto sulle pagine di "Science Immunology’. Sarà così possibile studiare sia i meccanismi di trasmissione del virus sia la malattia in fase acuta e a lungo termine, evidenziano gli esperti, e soprattutto testare l’efficacia di nuove classi di antivirali e vaccini. A guidare la ricerca sono Matteo Iannacone, professore associato dell’università Vita-Salute San Raffaele, e Luca Guidotti, vice direttore scientifico dell’Irccs San Raffaele e professore ordinario nella stessa università. Perché sono così importanti i modelli sperimentali di Covid? Trovare terapie e vaccini efficaci non sarebbe possibile senza modelli sperimentali (animali e in vitro) che permettano di replicare la manifestazione clinica della malattia osservata negli esseri umani, approfondiscono gli autori. Non solo: studiare in laboratorio Sars-CoV-2 e la sua interazione con il sistema immunitario può prepararci a eventuali futuri salti di specie di nuovi coronavirus appartenenti alla stessa famiglia (di cui fanno parte anche i virus della Mers e della Sars). 

 

 

 

Per capire cos’ha di diverso e più evoluto il modello made in Italy, è necessario sapere che il modello sperimentale utilizzato oggi nei laboratori di tutto il mondo per studiare Covid-19 - quello che ha permesso lo sviluppo dei primi vaccini e antivirali - è stato messo a punto tra il 2003 e il 2005, a seguito dello scoppio dell’epidemia di Sars. A occuparsene fu un gruppo di ricercatori dell’università dell’Iowa. Il modello si basa su topi modificati geneticamente per esprimere nelle cellule delle vie respiratorie lo stesso recettore (chiamato hAce2) presente negli esseri umani e a cui si lega con efficienza la proteina Spike dei coronavirus. I topi vengono contagiati utilizzando una soluzione liquida contenente il virus, mentre si trovano sotto anestesia profonda. Ma «questo modello - evidenzia Iannacone - replica purtroppo molto male la malattia che osserviamo negli esseri umani. Rispetto a noi, i topi mostrano infatti minori sintomi di tipo respiratorio e una più importante infezione a livello del sistema nervoso, rendendo lo studio della malattia, del suo impatto a lungo termine e dell’efficacia dei farmaci molto più difficile e lenta». Il nuovo modello è invece basato su un sistema di contagio più simile a quello naturale. E qui entra in gioco l’aerosol: gli animali vengono esposti a una soluzione nebulizzata del virus, un aerosol in cui le particelle virali sono sospese, esattamente come accade quando entriamo in una stanza con un’alta concentrazione del virus e senza saperlo lo respiriamo attraverso le mucose del naso. Nel nuovo modello i topi esibiscono tutte le caratteristiche ormai note della malattia, come l’infezione e l’ostruzione delle vie respiratorie, l’infiammazione, la perdita dell’olfatto. Oltre a permettere una migliore comprensione dei meccanismi fisiopatologici del Covid-19, il modello - assicurano gli sviluppatori - aiuterà a capire meglio come temperatura, umidità e concentrazione delle particelle virali influenzino la probabilità di contagio e il decorso clinico dell’infezione.

 

 

«Lo sviluppo di nuove terapie sempre più efficaci e sicure contro infezioni virali come Covid-19 dipende dalla nostra capacità di costruire dei modelli sperimentali accurati, in grado di replicare al meglio delle nostre possibilità quello che accade nei pazienti», afferma Guidotti, responsabile della ricerca in vivo su Covid-19 al San Raffaele. «Come dimostrano i recenti successi nel campo dell’epatite B - rimarca - è proprio grazie a piattaforme tecnologiche d’avanguardia, laboratori ad alta biosicurezza e competenze multidisciplinari che un istituto come il nostro può fare la differenza nella lotta ai virus». Il lavoro è stato condotto all’interno «dell’unico laboratorio di biosicurezza P3 in Italia per lo studio in vivo di virus ad alta pericolosità attraverso tecnologie avanzate di imaging e di sequenziamento genico», informano dall’Irccs del Gruppo San Donato. «Tra il 2020 e il 2021 il laboratorio è stato parzialmente convertito allo studio di Sars-CoV-2 e Covid-19 grazie al supporto del gruppo Same Deutz Fahr e della Fondazione Prossimo Mio».

 

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