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Vaccino, così dopo sei mesi crolla la difesa dal Covid

Dario Martini
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Chi è vaccinato da più di sei mesi ha il doppio delle probabilità di finire in terapia intensiva rispetto ai sei mesi precedenti. E la possibilità di morire è tre volte più alta. Ovviamente, parliamo di percentuali molto basse, se non bassissime, soprattutto se paragonate a quelle dei non vaccinati. Ma è la dimostrazione che la terza dose, trascorsi 180 giorni dalla seconda somministrazione, diventa quanto mai necessaria. Il dato emerge chiaramente dall'ultimo bollettino dell'Istituto superiore di sanità che, per la prima volta, ha iniziato a distinguere l'efficacia vaccinale tra chi ha completato il ciclo entro sei mesi e chi lo ha fatto da oltre sei mesi. La differenza salta all'occhio soprattutto nella capacità del siero di proteggere dalla malattia grave e di evitare i decessi. Diamo, quindi, uno sguardo ai numeri. In Italia ci sono 38,9 milioni di non vaccinati con ciclo completo entro sei mesi e 3,8 milioni da più di sei. Negli ultimi trenta giorni ci sono stati 44mila contagiati nel primo caso e 8mila nel secondo. In rapporto alla popolazione di riferimento, significa che i vaccinati con meno di 6 mesi hanno un tasso di contagio di 112 su 100mila. Chi è vaccinato da più di sei mesi, invece, ha un tasso di positività doppio: 208 su 100mila. Stesso discorso per i ricoveri non gravi: 4,5 su 100mila nel primo caso, 16 su 100mila nel secondo. Idem per le terapie intensive, rispettivamente 0,4 e 0,7 su 100mila. La differenza è ancora più evidente nei decessi: 0,8 su 100mila tra i vaccinati con meno di 6 mesi e 2,2 su 100mila per chi ha fatto passare più di 6 mesi.

 

 

Come abbiamo detto, si tratta di percentuali molto basse, a dimostrazione che il siero assicura comunque un'alta protezione dalle forme più gravi della malattia. Infatti, i non vaccinati (8,3 milioni di italiani) nell'ultimo mese hanno fatto registrare 40.182 casi positivi (483 su 100mila), 2.890 ospedalizzazioni non gravi (34,8 su 100mila), 370 ricoveri in terapia intensiva (4,4 su 100mila) e 361 decessi (4,3 su 100mila). La perdita di efficacia dei vaccini anti-Covid, una volta oltrepassata la soglia dei 180 giorni, è evidente anche da un altro raffronto. Quello con coloro che hanno ricevuto una sola dose e aspettano la seconda (2,5 milioni di italiani). In questa categoria vediamo che la protezione è simile, se non addirittura migliore, rispetto a chi si è vaccinato da oltre sei mesi. Tra le cosiddette prime dosi, infatti, i contagiati dal Covid nell'ultimo mese sono stati 3.466 (136 su 100mila), mentre sono finite nei reparti ordinari 144 persone (5,6 su 100mila), 9 in terapia intensiva (0,3 su 100mila) e 27 decessi (1 su 100mila). Rispetto ai vaccinati da oltre sei mesi, quindi, chi ha ricevuto una sola dose ha un rischio quattro volte più basso di finire in ospedale, la metà di andare in terapia intensiva e tre volte inferiore di morire.

 

 

Tutti questi numeri possono far venire il mal di testa, ma rendono evidente il motivo per cui il governo, dal ministro Speranza al commissario Figliuolo, negli ultimi giorni insistono a tambur battente sulla necessità di spingere le terze dosi. Non è un caso che, proprio ieri, Speranza ha anticipato dal primo dicembre a lunedì 22 novembre la campagna dei "booster" per la fascia d'età 40-59 anni in chi si è vaccinato da oltre sei mesi. Ecco la motivazione: «È necessario perché la curva del contagio sale nel nostro Paese e ancora di più nei Paesi vicini».

 

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