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La retorica sul vaccino ai giovani. Non rischiano, perché farglielo?

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Fosca Bincher
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Via alla vaccinazione per i ragazzini. E Open day a go-go per i maturandi, per i ventenni, per chiunque. Grande entusiasmo per tutti, e forza giovani: vaccinatevi, altrimenti non si raggiungerà la sospirata immunità di gregge. Splendido, tanto più in un paese dove non esiste l'obbligo di vaccinazioni salvo quello assai recentemente introdotto dal personale medico. Anche se una certa spinta a farlo anche per i giovani c'è: chissà come verrebbe accolto nell'aula dell'esame di maturità chi vaccino non ha. E certo gran parte delle cose che piacciono ai giovani diventano impossibili: notti magiche nei locali, ingresso ai concerti con i loro beniamini, e se saranno consentite anche notti in discoteca. Avranno molti incentivi per vaccinarsi, ma è giusto che lo facciano sempre e comunque?

 

 

Perché dal dibattito pubblico è scomparso un tema che invece era esploso nei primi giorni di aprile: quello delle reazioni avverse al vaccino. Ricordo che allora (il 15 aprile sul Corriere della Sera era apparso un lungo articolo) firmato a più mani dalle "Scienziate per la società", con in testa l'ematologa Anna Rubartelli. Li era scritto: «La possibilità di avere una complicazione grave come la Vitt a seguito di vaccinazione con AstraZeneca, seppur molto rara, può quindi rappresentare nei giovani un rischio più alto dello stesso Covid-19». Una considerazione molto forte, che però su alcune fasce ristrette di età è confortata da dati ormai importanti. Perché i giovani sani, che non hanno altri tipi di gravi malanni, non rischiano la vita con il Covid. La stragrande maggioranza di loro si ammala in modo asintomatico, sono rarissimi i casi gravi e si contano sulle dita di una mano in Italia quelli che hanno riguardato giovani sani. Mentre per quanto rare reazioni avverse gravi ad alcuni vaccini sono state registrate, e qualcuno ha perso pure la vita per questo.

È vero dunque che questi ragazzi hanno un rischio raro, ma esistente con il vaccino assai superiore a quello che avrebbero ammalandosi di coronavirus. Quindi non si sta chiedendo a loro di vaccinarsi per proteggere la loro salute, che anzi corre con quella scelta qualche minimo rischio in più. Si sta chiedendo loro di vaccinarsi per proteggere altri - i genitori e i nonni - che ora però si sono vaccinati da sé e non debbono essere protetti dalla vaccinazione di figli e nipoti. Allora ai ragazzi si chiede questo gesto per una questione di sanità pubblica, per consentire allo Stato di ottenere quella immunità di gregge che farebbe risparmiare molti soldi, magari evitando di pagare vaccini a Big Pharma per chissà quanti anni. Non è mai stato chiesto a nessuno di vaccinarsi non per la propria salute, ma per quella degli altri o addirittura per la salute delle finanze pubbliche. E lo si fa nei con fronti di una fascia di popolazione - quella più giovane - per cui lo Stato non fa proprio nulla. Non investe sulla loro istruzione qualificata, non offre progetti e percorsi di inserimento nel mercato del lavoro, non agevola in alcun modo la possibilità di costruzione di vita e di famiglia. Ben strano chiedere a questa generazione di affrontare un rischio esistente senza manco starci a pensare e offrire qualcosa in cambio di un gesto che sarebbe di pura generosità. Prima di tanta spinta, entusiasmo e retorica sulla vaccinazione ai giovani sarebbe dovere minimo mettere qualcosa sul piatto della bilancia. Anche solo per dire grazie a chi stato fin qui trattato da mezzo delinquente, indicato al pubblico ludibrio per un aperitivo o per il desiderio di stare insieme ad altri. Uno Stato serio a questo pensa.

 

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