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Papa Francesco tace sulla moschea a Santa Sofia. Cardinali in rivolta

Luigi Bisignani
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Caro direttore, il nuovo sultano Erdogan che ha riconvertito in moschea l’ex basilica di Santa Sofia di Istanbul sta squassando il sempre più precario equilibrio tra Papa Bergoglio ed il suo collegio cardinalizio. Tiepida è stata giudicata la reazione di Francesco, scolpita, dopo giorni di silenzio assordante, dalle sole tre parole «sono molto addolorat», rinvigorendo così quei dissensi sul suo pontificato che scuotono la Chiesa di Roma. E non è certo un caso se il Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, ha preferito lasciare i Sacri Palazzi e andare a trovare la mamma in Veneto per non alimentare ulteriori polemiche.

 

Ma la mossa del premier turco, ci si chiede, è solo una provocazione al mondo della cristianità per imporre la propria visione, religiosa e politica, all'islam mondiale «sulle orme della volontà dei musulmani di uscire dall'interregno», come lui stesso ha sottolineato nel suo messaggio alla nazione? Oppure, come risulta in alcune note diplomatiche partite dall’intelligence americana, è una mossa per mettere in crisi soprattutto Bergoglio, peraltro mai amato né dagli Usa né dal clero statunitense? Nei prossimi giorni, la Segreteria di Stato avrà la risposta, quando finalmente perverrà la nota riservata di Paul Fitzpatrick Russell, nunzio apostolico in Turchia. Statunitense di Greenfield nel Massachusetts, proveniente dalla nunziatura di Taiwan, è considerato un diplomatico di grande levatura, arrivato nel paese della mezzaluna per comporre la crisi diplomatica tra Santa Sede e Turchia, dopo che Papa Francesco aveva richiamato il genocidio degli armeni come opera dei turchi. La sua missione diplomatica riparte quindi da zero, anche se, in Segreteria di Stato, molti addetti alla Seconda Sezione per le relazioni con gli Stati sono convinti che, dopo l’ultima mossa di Erdogan, sarebbe stato opportuno richiamarlo in Santa Sede. 

Sull’affaire Santa Sofia, il fronte dei critici del Santo Padre si va sempre più allargando, non essendo ormai solo limitato ai pochi cardinali che nel 2016 avevano avanzato «dubia» sull’enciclica Amoris Laetitia, come il potente Raymond Burke (statunitense), Walter Brandmüller (tedesco) e in seguito anche Willem Jacobus Eijk (olandese), oltre al nostro Carlo Caffarra e Joachim Meisner (tedesco) medio tempore deceduti, ma anche prelati da novanta come Camillo Ruini, Giovanni Battista Re, Angelo Sodano e Tarcisio Bertone, così come uno degli uomini più spirituali della Chiesa, Roberto Sarah (guineano), Timothy Dolan (Usa), Ludwig Müller (tedesco) e Péter Erdõ (ungherese) e Albert Ranjith (Sri Lanka). Sono convinti infatti che anche quei musulmani che vengono definiti moderati odiano il cristianesimo e faranno tutto per distruggerlo ed è pertanto impensabile dare loro un tempio consacrato per i loro rituali anticristiani. Sono porporati provenienti dai paesi più svariati e di grande esperienza che immaginano con quale maggiore «vis» i predecessori di Francesco avrebbero affrontato una situazione simile.

Senza bisogno di farsi tirare per la tonaca, qualcuno di loro ha fatto paragoni col passato che appaiono impietosi. C’è chi ricorda, infatti, come Ratzinger cominciò ad essere «sotto tiro» dei servizi e del governo turco già agli inizi del 2000 quando, da cardinale, si espresse contro l'ingresso nell’Unione Europea della Turchia, che avrebbe potuto creare il suo spazio commerciale e politico con le sei repubbliche turkmene dell'ex Unione Sovietica, culturalmente e religiosamente affini. E ancora, nel famoso discorso su «Fede e Religione» di Ratisbona nel 2006, criticato dal rettore della moschea blu Mustafa Çagrıcı, Papa Benedetto ebbe ragione nel ricordare quello che l'imperatore bizantino disse al Sultano: «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava». Pochi giorni fa, il suo successore Ali Erbaş è salito tronfio sul pulpito di Santa Sofia, a seguito della trasformazione in moschea, tenendo in mano la spada di Mehmet II, il conquistatore di Costantinopoli nel 1453. E ancora sono numerosi i colpi di pugno che Giovanni Paolo II diede di fronte a diversi capi di Stato musulmani sui diritti dei cristiani e contro le persecuzioni che subivano. E non lo faceva solo quando li riceveva domi suae in Vaticano, ma anche nelle sue visite in paesi musulmani. Di Paolo VI si racconta, invece, che alla richiesta dell'ambasciatore saudita presso il Quirinale di far costruire una moschea a Roma consigliò di rispondere appellandosi all'articolo 60 dell'allora vigente codice civile italiano ai sensi del quale la «Repubblica riconosce agli stranieri gli stessi diritti riconosciuti agli italiani nel loro Paese di provenienza». Nel 1935, era già un anno che Angelo Roncalli era a Istanbul, quando il governo kemalista strinse ulteriormente le leggi laiciste e impose ai ministri di tutti i culti di non indossare in pubblico gli abiti religiosi. L’imperitura fama di Roncalli è in buona parte dovuta anche al fatto che riuscì a «far ragionare» Atatürk e i suoi lasciando «respirare» tutte le religioni presenti in Turchia, musulmani compresi.

 

Era riuscito a mantenere un pugno di ferro in un guanto di velluto. Bergoglio, invece, oggi soffre, lacerato da questi confronti. Sgranocchiando compulsivamente mandorle, visto che dolci e ciliegie gli sono state vietate per via degli zuccheri, ricorda la solitudine di un Papa e pensa a quando Pio XII venne accusato di debolezza durante la razzia degli ebrei in Olanda, ritenendo che prese di posizioni eccessive possano creare difficoltà alle comunità cattoliche nei Paesi musulmani, e forse ha ragione. Ma probabilmente avrebbe almeno potuto evitare quel che è successo il 21 luglio, quando monsignor Yoannis Lahzi Gaid, segretario particolare di Francesco fino a poche ore fa e sostituito in tutta fretta con il calabrese Fabio Salerno, ha presentato il progetto della costruzione di un orfanotrofio e di un ospedale nella «Nuova Cairo». La presentazione è avvenuta nell’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti presso l’Italia, anche perché nasce nell’ambito del lavoro sulla fraternità iniziato con il «Documento sulla Fratellanza umana di Abu Dhabi». Ma inginocchiarsi così spesso, anche fisicamente, ai piedi dell’Islam, come peronisticamente spesso ha fatto Francesco, è sempre più visto come un simbolo della disfatta del Cattolicesimo, accompagnato dal fallimento economico delle riforme papali, da quello giuridico che ha riportato lo Stato Vaticano ai tempi «manettari» dello Stato pontificio e dal decadimento dottrinale di chi rinuncia ai Simboli per un interesse superiore, porta al relativismo, in cui tutti siamo uguali, fino a quando qualcuno decide che il suo simbolo vale più di un altro, come Erdogan insegna. Forse, con questi venti di neo ottomanesimo, una mano d’aiuto dello Spirito Santo servirebbe proprio, e probabilmente è per questo che ogni domenica il Santo Padre chiede di pregare per Lui. Facciamolo. Ne ha davvero bisogno.

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