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Serena Mollicone, a processo i cinque carabinieri. Svolta nel giallo di Arce

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Svolta sulla vicenda giudiziaria legata alla morte di Serena Mollicone. Il Tribunale di Cassino rinvia a giudizio le cinque persone indagate nell’inchiesta sull’omicidio, rimasto senza colpevoli dal 2001. Saranno giudicati in Corte d’assise l’ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce, Franco Mottola, la moglie Anna e il figlio Marco. A processo anche i carabinieri Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano. La prima udienza è fissata per il 15 gennaio. 

 

A 19 anni dal delitto, il Gup del tribunale di Cassino manda sotto processo i 5 indagati per l’omicidio di Serena  Mollicone. Sono Franco Mottola, ex comandante della stazione carabinieri di Arce, il figlio Marco e la moglie Annamaria accusati di omicidio aggravato e occultamento di cadavere, l’appuntato scelto Francesco Suprano di favoreggiamento personale in omicidio volontario, e il luogotenente Vincenzo Quatrale di concorso in omicidio volontario e istigazione al suicidio di un collega brigadiere Santino Tuzi. I 5 imputati compariranno il 15 gennaio davanti alla Corte d’assise del tribunale di Cassino. Serena scomparve da Arce la mattina del primo giugno 2001. Venne ritrovata alcuni giorni dopo, durante ricerche a cui parteciparono centinaia di persone, legata e con la testa chiusa in un sacchetto di plastica. Le indagini, tra depistaggi e inefficienze investigative, portarono ad un carrozziere della zona, Carmine Belli, che finì sotto processo ma assolto fino al terzo grado. Poi le indagini restarono a un punto morto fino a quando, nel 2011, il brigadiere Santino Tuzi riferì che la mattina della scomparsa della ragazza, l’aveva vista entrare nella stazione carabinieri di Arce in cui lui prestava servizio come piantone e, alle 14, terminato il turno di servizio, non l’aveva vista uscire.

 

Un tassello che stravolse tutte le ipotesi investigative e diede forza a quelle che già da tempo, grazie alla determinazione del padre della ragazza, Guglielmo Mollicone, morto a maggio, portavano proprio alla caserma dei carabinieri e alla famiglia del comandante di stazione, il maresciallo Mottola, ma in particolare al figlio di questi, Marco, che aveva un giro di droga. Alcuni giorni dopo quella deposizione, Tuzi venne trovato morto nella sua auto con in foro si pistola alla testa. Secondo gli investigatori si era tolto la vita ma la famiglia ha sempre creduto ad una tesi diversa e legata alla vicenda di Serena. Ripresero quindi le indagini, il corpo della ragazza venne riesumato e sottoposto ad una perizia più attenta con l’utilizzo di nuovi strumenti così come gli investigatori si concentrarono sull’alloggio dei Mottola ed in particolare su di una porta contro cui, Serena, picchiata, avrebbe battuto la testa perdendo i sensi. Convinti di averla uccisa i suoi aguzzini, i Mottola, secondo la procura, aiutati da altri le avrebbero chiusa la testa in una busta per occultarne il cadavere ma di fatto uccidendola per asfissia, per poi gettarne il corpo nel bosco dell’Anitrella dove poi è stato ritrovato. 

 

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