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Assenteisti e costosi: i senatori a vita servono davvero?

Lo diciamo con tutto il garbo istituzionale possibile, ché di questi tempi basta poco per sembrare eversivi: ha ancora senso il ruolo dei senatori a vita? O meglio: i senatori a vita hanno davvero tutta questa voglia di partecipare ai lavori parlamentari?   Il dubbio è lecito. Specie dopo la notizia che in occasione del voto di fiducia sul decreto Sicurezza Bis nessuno dei sei onorevoli in questione era in Aula.   A scorrere le percentuali di presenza in tutta la legislatura, normalmente non va meglio. Zero per cento per Renzo Piano e Giorgio Napolitano, appena un po' meglio per gli altri. Comunque poco, per i circa ventimila euro lordi che ognuno di loro costa ogni mese allo Stato.   E allora, perché non dare comunque quei soldi a Renzo Piano, ma per progettare edifici e scuole? O versarli a Carlo Rubbia ed Elena Cattaneo per le loro ricerche scientifiche? O metterli a disposizione di Liliana Segre per un tour di conferenze sulle nefaste conseguenze dell'odio razziale?   In fondo, trasformandoli in semplici “Ambasciatori dell'eccellenza italiana” si eviterebbe anche di sottoporli alle bassezze delle strumentalizzazioni politiche. Ricordate il trattamento che dovette subire un monumento della scienza italiana come Rita Levi Montalcini per il suo instancabile sostegno al governo prodi?   Una riflessione va fatta, specie ora che con il taglio dei parlamentari la percentuale dei senatori a vita rischia di diventare troppo “decisiva”. Non è il caso di superare questa figura istituzionale? Non ne sarebbero contenti, in fondo, anche i vari Piano e Rubbia, che potrebbero dedicarsi alle loro prestigiose attività senza dover giustificare l'assenteismo in Parlamento?

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