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Barbaro: lo sport di base ha bisogno di aiuti dal Governo

Parla il senatore, presidente dell'Asi: incassi zero e le spese per adeguare gli impianti aumentano

Paolo Dani
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Lo sport di base rivendica contributi dello Stato. Il senatore Claudio Barbaro, presidente dell'Asi e membro del Consiglio del Coni come rappresentante degli Enti di promozione sportiva richiama l'attenzione sull'emergenza che ha travolto l'intero movimento. Il Sistema sportivo italiano produce quasi il 2% del PIL, comprende 20 milioni di praticanti, 100 mila strutture e quasi un milione di lavoratori; il decreto Cura Italia ha svincolato un bonifico per alcuni di loro (600 euro) a fronte di un tetto massimo di 50 milioni: i conti non tornano, la misura appare largamente insufficiente. “Sarà difficilissimo tornare alla normalità se nel frattempo non arriveranno soldi a fondo perduto da parte delle Istituzioni - afferma il senatore - tutti gli organismi sportivi sono in sofferenza tremenda, il problema è quello legato alla totale negatività dell'anno in corso: se va bene, una qualsiasi attività sportiva riuscirà a recuperare in termini di introiti un 20% rispetto alle entrate ordinarie, quindi tutte le entrate subiranno un decremento dell'80%, con costi che nel frattempo continueranno a correre. Se vogliamo parlare della contrazione - di una compensazione tra entrate ed uscite - non sarà inferiore al 70%. I costi continuano a decorrere di fronte a un incasso zero perché le palestre sono chiuse, la gente non si tessera e non fa abbonamenti. E' tutto un circolo vizioso, c'è necessità assoluta che lo Stato intervenga”. Sta dicendo che il Sistema Sportivo rischia di crollare? “Parliamo di numeri spaventosi: almeno il 70% delle attività sono a rischio. E i ricavi economici sono riconducibili all'apertura della saracinesca. Non penso che si potrà ripartire prima del mese di settembre sempre che - nel frattempo - vengano create tutte le condizioni per andare a riconvertire tutti gli impianti in funzione degli attuali protocolli. Qui non c'è soltanto il mancato introito, ma c'è pure il problema dell'ulteriore investimento che dovrà essere affrontato per adeguare gli impianti. Al momento, se lo Stato non fa qualche cosa, lo sport rischia di essere fanalino di coda - non dal punto di vista di forza sociale, perché così non è - ma per quanto riguarda la ripresa perché nessuno sta tenendo nelle debite considerazioni il fatto che lo sport - insieme al turismo - rappresenta la categoria più penalizzata per tutta una serie di evidenti motivi che riguardano spostamenti, applicazioni, costi ulteriori per la sanificazione”. Piscine e palestre per un paio di settimane resteranno ancora chiuse. “Nessuno si sta ponendo il problema che attraverso il recupero di una discreta condizione fisica, il costo della sanità decresce. Abbiamo una statistica eloquente: ogni euro investito nello sport, se ne risparmiano sette in sanità. Quello di dividere gli atleti professionisti dagli amatori è un limite culturale dello sport italiano: cosi facendo, i semplici praticanti che rappresentano la quasi totalità del movimento sportivo vengono messi in secondo piano.”. Lei ha una strada da indicare per uscire dalla crisi? Lo Sport è in emergenza totale, serve un intervento economico immediato e concreto. E di questo il Governo non ha ancora la benché minima percezione perché continua a ragionare con la solite categorie convenzionali: si parla della ripresa del campionato di calcio, del rapporto con il Coni, del rapporto con le federazioni sportive. Ma i gestori dell'impiantistica dello Sport - che rappresentano la spina dorsale dell'erogazione del servizio - non vengon ascoltati. Fino a oggi sono state fatte una serie di semplificazioni che non fanno percepire la reale portata del problema. Ritengo che l'operato di Spadafora sia inadeguato: dovrebbe dimettersi”.    

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