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Le verità nascoste sul caso Re Cecconi

In «Aveva un volto bianco e tirato» di Chiappaventi le ombre sulla tragica morte del giocatore laziale

Luigi Salomone
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Centoquaranticinque pagine per capire qualcosa di più di uno dei misteri della storia d'Italia. Il 18 gennaio del 1977 a Roma muore Luciano Re Cecconi, centrocampista della Lazio e della nazionale, tra meno di due mesi saranno quarant'anni dal tragico evento, ecco allora un altro libro di inchiesta intitolato «Aveva un volto bianco e tirato», scritto dal giornalista Guy Chiappaventi (casa editrice Tunuè). L'«angelo biondo» così lo chiamavano i tifosi della Lazio per i quali resta un idolo, muore per via del colpo di pistola sparato da Bruno Tabocchini, un orafo della capitale. Muore perché stava «fingendo» un furto in quella gioielleria, e aveva fatto irruzione gridando: «Fermi tutti, questa è una rapina!». Ma il caso non è affatto chiaro, e le testimonianze restano contrastanti. E la domanda principale campeggia sulla quarta di copertina: «Perché un giocatore, giovane, bello, ricco e famoso dovrebbe mettersi a fare uno scherzo così pericoloso e idiota?». L'autore si muove tra romanzo e inchiesta per capire che cosa sia veramente successo quel tragico giorno nella gioielleria nel cuore Fleming. E disegna una storia di testimonianze, ricostruzioni e dubbi, tanti dubbi distesi lungo un racconto efficacissimo nel richiamare l'atmosfera che si respirava allora. Quella sera Re Cecconi si trovava con due amici, il compagno di squadra Pietro Ghedin e il profumiere Giorgio Fraticcioli. Entra nella gioielleria di Bruno Tabocchini, in via Nitti 68. Da quel momento tante versioni, testimonianze ritrattate su quello che sia realmente accaduto. Sta di fatto che «Cecco» come lo chiamavano amici e compagni venne colpito in pieno petto da una pistola Walther calibro 7,65 e morì in ospedale alle 20.04. Il gioiellere fu poi arrestato e accusato di «eccesso colposo di legittima difesa»; processato solo 18 giorni dopo, venne assolto per «aver sparato per legittima difesa putativa» con le pressioni di tutti gli orafi romani. Ma la cosa che alimenta i dubbi e che, nonostante il parere contrario del pubblico ministero Franco Marrone, la Procura di Roma non presentò ricorso in appello. Morì a soli 28 anni lasciando la moglie Cesarina, la figlia Francesca di pochi mesi ed il figlio Stefano di due anni. Solo nel novembre 2003, il Comune di Roma gli dedicò una strada nel quartiere Tuscolano. Fin qui la storia, ma l'autore del libro si fa alcune domande che restano irrisolte. «L'altro grande dubbio, risolto negativamente dal processo, gira intorno a questa domanda: è possibile che Tabocchini e Re Cecconi non si conoscessero? I calciatori della Lazio frequentavano tutti i giorni il quartiere Fleming, ci abitavano, erano soliti fermarsi a parlare e a fare compere, e Re Cecconi era molto famoso e molto riconoscibile: campione d'Italia, nazionale, bandiera della squadra, così biondo che si riconosceva a 50 metri di distanza...». Dalla ricostruzione dell'epoca è chiaro come fosse un momento storico difficile, in quei tempi c'erano state quattro rapine in gioiellerie, erano morti figli, mogli e amici di vari negozianti, quindi la tensione era altissima. Addirittura l'Ina, assicurazione di Stato, non emetteva più polizze ai gioiellieri, anche se Tabocchini era assicurato per un valore superiore alla merce in negozio. E qui tornano i dubbi: possibile che in un locale piccolo e angusto alla presenza di moglie il figlio maggiore Leonardo, altri due bambini (in totale c'erano nove persone dentro quella maledetta gioielleria) Tabocchini abbia sparato per uccidere il presunto rapinatore mettendo a rischio la vita dei suoi familiari (l'altro «rapinatore», Ghedin, avrebbe potuto sparare). Molti punti oscuri, così come le due versioni di Ghedin e altre testimonianze contraddittorie. Intanto Tabocchini è ancora vivo, sta a Roma nel suo solito appartamento in un bel condominio, Re Cecconi è sepolto nel nebbioso cimitero di Nerviano a due passi da Milano. L'unica verità è questa, su come si sia arrivati a quella tragedia ancora tanti dubbi. Troppi.

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