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La morte in campo

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Un momento dei primi soccorsi prestati dal medico del Livorno al centrocampista Pierauro Morosini,

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Un lampo. Occhi accesi. Spenti. Battiti. Silenzio. La grande mietitrice è scesa in campo. Maglia numero 25. Cade la prima volta. Prova a rialzarsi. Cade la seconda volta. Tenta la risalita. Cade. Fine di un atleta. Tramonto di un uomo. La corsa di Piermario Morosini finisce qui. È l'ultima strofa di una canzone cominciata con il primo vagito 25 anni fa. È l'epilogo di un sabato italiano che riporta tutti mestamente sulla terra. Massaggio cardiaco. Curve di ghiaccio. Barella. Ambulanza. Ospedale. Niente, la vita di un calciatore che indossava la maglia numero 25 è finita dov'era iniziata, in campo. Falciata prima del tempo. Cala il sipario sullo show, tutti a casa a pensare, a rivedere, ad accarezzare i figli. Perché ora è chiaro, la vita è un lampo. Pescara e Livorno, città di mare e porto, marinai e donne, taverna e pallone, bandiera e coro. Divisi prima del tuono, uniti dopo il lampo. La maglia 25, che segna nascita e morte, non corre più. Chiudete gli occhi: eccolo, Piermario, s'invola sulla fascia e porta tutti i colori delle sue squadre, Atalanta, Udinese, Bologna, Vicenza, Padova, Reggina, Livorno. Corri, ragazzo, corri, vestito d'azzurro, i colori della Nazionale, i capelli lunghi al vento e il sorriso di chi ha vissuto per quello che amava. Come un lampo.  

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