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Fabiana Pellegrino Diciassette anni valgono tutta la fame del mondo.

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Berlino'78, Roma '94 e ora Shanghai 2011, nella vasca cinese i ragazzi di Sandro Campagna scrivono una nuova pagina leggendaria della storia di uno sport faticoso e appassionato fatto di rabbia e paura, stoccate e fatica, riportando la pallanuoto azzurra sul tetto del mondo. Il fattore «C» è quello che premia: cuore, coraggio e compattezza, come sostiene il sergente-amico-cittì. «La Serbia - il suo primo commento - ha individualità eccezionali. Noi li abbiamo battuti con l'atipicità del nostro gioco e l'unione tra di noi, abbiamo strameritato e siamo orgogliosi. È stata la vittoria del gruppo. Con la compattezza, gli italiani sono unici al mondo». Un oro conquistato per 8-7 dopo i tempi supplementari che brilla accanto ai due della Pellegrini, regina del mondo nei 400 e 200 stile libero imbattuta da Roma 2009, e i due argenti a sorpresa di Fabio Scozzoli, il nuovo ranista italiano. Senza dimenticare lo sprint d'argento di Luca Dotto nei 50 sl. «Siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto - ha continuato Campagna - tutta la squadra dal primo all'ultimo componente deve esserlo. Tempesti è stato grandioso. Con quei due rigori parati ha dato fiducia alla squadra». Un oro, poi, che vale moltissimo per il sogno olimpico, vero obiettivo dichiarato da sempre del Settebello. Campagna vuole mettere le mani anche sui giochi di Londra dell'anno prossimo e Tempesti, Figlioli e Perez (solo per citarne qualcuno) hanno la stessa intenzione. Nel frattempo, però, questi ragazzi rinnovano una leggenda dello sport italiano. Basta citarne il soprannome, Settebello, e ricordare che sarebbe stato Niccolò Carosio, a Londra '48, il primo a usare quell'etichetta, nata dalla Rari Nantes Napoli. I giocatori della squadra dell'oro olimpico di Londra passavano il tempo delle lunghe trasferte a giocare a carte e Settebello sta proprio per la carta più pregiata della scopa a cui giocavano quei campioni. Tre olimpiadi, due mondiali e tre europei, e ora l'oro cinese vinto con la testa più che con i muscoli assieme a quel tocco di imprevidibilità a cui l'allenatore ha abituato l'Italia.

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