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Rifondazione Europa

Gianluigi Buffon

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Si avvia al tramonto, dunque con gli inevitabili toni in chiaroscuro, anche questa stagione, ultimo mese per le certezze, le speranze, i sogni, perfino le chimere, ma anche le amare disillusioni. Non ha offerto, il nostro calcio, la più attraente delle immagini, quasi d'obbligo guardare al futuro con i migliori propositi: per riguadagnare almeno una parte del prestigio smarrito, per ritrovare quei quattro posti in Champions dei quali potremo fruire per l'ultima volta alle ripresa delle ostilità, per restituire alla Nazionale l'amore della brava gente, quello che lo sciagurato mondiale di Lippi aveva relegato nel sottosuolo. Per non doverci negare un sorriso, consideriamo subito le prospettive incoraggianti, partendo dalla delusione più cruda, quella sofferta nell'Europa dei club: sarà difficile fare di peggio e questo è già un buon segnale. La Champions ritroverà tra i protagonisti quel Milan che una sorte arcigna aveva costretto a lasciare il passo al Tottenham, al quale si era mostrato nettamente superiore. Tornato ai vertici in campo nazionale, già campione con largo anticipo anche se le cifre impongono esili margini di attesa, ha già una solida intelaiatura e si sta già muovendo sul mercato sorretto dall'ambizione di un patron che non ha mai lesinato risorse. Dunque ulteriormente competitivo, con un tecnico giovane che ha già dimostrato di saper gestire non soltanto campioni di ingombrante personalità, ma anche le situazioni delicate, come quella vissuta alla vigilia dell'ultimo derby. Non è pensabile che fallisca il traguardo l'Inter, anch'essa in grado di migliorare il già elevato livello dell'organico. Le altre promosse, si chiamano Napoli, Lazio, Udinese o magari Roma, dovranno invece darsi una più credibile immagine per confrontarsi con le regine del continente senza soffrire umiliazioni. Nella colonnina dell'attivo anche i progressi di una Nazionale che Prandelli ha già scortato alla fase finale dell'Europeo e che è tornata a sentirsi stimata e soprattutto amata. Infine la novità, che potrebbe produrre un salutare effetto trainante, del primo apporto di capitali stranieri, quelli americani destinati a risollevare la Roma dall'abisso, non soltanto eonomico, nel quale era precipitata. Proprio quest'ultimo punto, tuttavia, apre la serie delle considerazioni di segno negativo: perché non soltanto la Roma non potrà avere in tempi brevi uno stadio meno disagevole del maestoso, ma scomodissimo, Olimpico, ma perché nel panorama italiano latitano gli impianti di proprietà. Un dato che potrebbe costituire un freno pesante per chi, da oltreconfine o magari oltreoceano, pensasse di ripercorrere il cammino intrapreso da DiBenedetto e soci. Una legge sbandierata e mai approvata, le pastoie burocratiche a ogni livello, però da parte dei titolari dei nostri club il problema non è stato mai affrontato nelle sue reali dimensioni. Privilegiano, i padroni del nostro calcio professionistico, che non si sognano di darsi una guida che non sia dilettantesca, le zuffe da osteria sui diritti televisivi, fino a produrre situazioni ingovernabili. Gli stessi signori che da decenni inseguono i talenti, o presunti tali, sui mercati esteri: e che ai vivai, la garanzia di un futuro meno precario, riservano modesta attenzione, perfino un po' annoiata, e risorse assai poco significative. Certo, non sarà facile imitare la scatola magica della cantera barcellonese, ma già sarebbe apprezzabile qualche convinto tentativo di avvicinarne i valori. Anche in vista di quel fairplay finanziario che il vecchio amico Michel Platini ci sventola davanti agli occhi come uno spettro minaccioso, senza che nessuno delinei uno straccio di programma valido per attutirne gli effetti. Fate un bilancio, vedete se si potrà vivere di idee concrete e non, secondo italico costume, di eterne speranze.

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