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Dai russi a Soros telenovela infinita

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MatteoDe Santis C'erano una volta i russi, poi ci sono stati gli americani e dopo ancora c'è stata una strana alleanza italo-svizzero-tedesca. Può sembrare l'inizio di di una barzelletta o di un racconto di fantapolitica: è solo la storia della Roma dal 2004 al 2011. Sette anni in cui è successo praticamente di tutto: manifestazioni di interesse, trattative, offerte serie, offerte non serie, accordi praticamente raggiunti e saltati all'ultimo momento, bluff, giochi delle tre carte, ritirate strategiche, ritirate reali, colpi di scena, dichiarazioni pubbliche, ingerenze politiche, lettere aperte ai tifosi e chi più ne ha più ne metta. Tutto ha inizio nell'inverno del 2004. In principio erano Suleiman Kerimov e Anatoli Kolotilin, proprietari della Nafta Moskva, a volere la Roma perché glielo aveva suggerito l'amicone Roman Abramovich. Secondo i conti dell'epoca, Italpetroli aveva debiti per 450 milioni. La Roma, però, era zeppa di nomi: Totti, Cassano, Montella, Emerson, Samuel, Chivu, i giovani Mancini e De Rossi in rampa di lancio e Capello in panchina. Proprietà alle prese con dei problemi economici ma squadra di assoluto livello: per i russi c'erano tutte le carte in regola per provarci. E ci provano. Franco Sensi, informato delle intenzioni di Kerimov e soci, dà il via libera alla trattativa. Trattativa che dura praticamente un mese (febbraio 2004): incontri giornalieri, diligence, i russi disposti a mettere sul piatto tra i 250 e i 300 milioni, progetti di acquisti di grido (Vieri e Davids, ad esempio) e di lasciare la presidenza onoraria a Franco Sensi. Il cerchio sembra ogni giorno sul punto di chiudersi, ma manca sempre qualcosa. I tentennamenti di una delle due parti, le dichiarazioni e le intromissioni dei politici (c'è chi dice anche di Putin) per lasciare la Roma in mani romane e italiane complicano le cose. Il treno passa definitivamente la sera del 29 febbraio: la Guardia di Finanza si presenta a Trigoria in cerca di documenti che attestino delle presunte plusvalenze fittizie, i russi salutano e scappano. Quattro anni dopo, tocca a George Soros. Tutto sembra apparentemente a posto, l'appuntamento tra i legali per chiudere la faccenda sulla base di 283 milioni totali è per il 18 aprile 2008 nella sede romana di Piazza Venezia dello studio Lovells. Sul più bello, però, chi rappresenta chi sta vendendo tira fuori un foglio A4 con su scritto che ci sarebbe anche un'offerta da 420 milioni di un misterioso gruppo arabo. Soros non ci sta, non rilancia e abbandona la partita. La frittata è fatta: l'arabo non esiste e il magnate americano non vuole saperne di tornare indietro nonostante il successivo tentativo di Unicredit di ritirarlo dentro la partita. La sera del 19 giugno 2009, invece, la Roma romanista va a letto convinta che Vinicio Fioranelli, Volker Flick e compagnia abbiano comprato la Roma. Manca solo l'ok di Mediobanca sulla tracciabilità dei 201 milioni: l'attesa dura qualche giorno, l'ok non arriva e si perdono le tracce di Fioranelli, arrestato lo scorso gennaio in Austria con l'accusa di aggiotaggio. Ora tocca a DiBenedetto, l'americano che può finalmente chiudere una storia infinita, con l'aiuto dello stesso studio legale romano che ha assistito Soros nell'operazione-Roma. E contando su una differenza sostanziale: ora è la banca a vendere il club.

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