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Cronaca di una morte annunciata dalle scelte del cittì

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Lo aveva detto, Marcello Lippi, sul carro del vincitore non ci sarebbe stato posto per chi criticava questa Nazionale: le scelte, la disposizione in campo, gli atteggiammenti. Adesso il veicolo è diventato la tragica carretta dei giorni del Terrore in Francia, destinazione ghigliottina: e nessuno ha la minima voglia di prendervi posto. Non avevano tutti i torti quelli che guardavano con scetticismo a questa avventura mondiale e che non erano stati indotti a cambiare umore da un esordio mediocre e da una prova d'appello mortificante contro gli ultimi della classe. Forse non era ipotizzabile che l'estremo slancio verso la qualificazione diventasse un salto nell'abisso, uscire con l'ultimo posto da un girone che, nel sorteggio, aveva spianato sotto i piedi degli Azzurri una passatoia di velluto rosso è qualcosa di allucinante. Un tonfo annunciato, per altro, dal momento in cui un responsabile, che il suo timone aveva già abbandonato, ha espresso le sue preferenze: ignorando non soltanto gli umori della critica e dei tifosi, e ci può stare, ma anche quanto il campionato aveva espresso a chiare lettere. Se si deve affidare la gestione dell'evento più importante del panorama calcistico a un gruppo che aveva battuto un primato negativo risalente a mezzo secolo prima, il verdetto è già segnato, l'onesta ammissione di colpa di Lippi non modifica gli errori di base che hanno portato al disastro. Da trentasei anni la Nazionale non conosceva l'onta dell'eliminazione al primo turno, da quel Mondiale tedesco che pure aveva visto gli Azzurri partire da favoriti, dopo una serie di risultati strepitosi in amichevole. Ma almeno, prima di cadere di fronte alla Polonia già qualificata, l'Italia aveva battuto gli haitiani e pareggiato con gli argentini, oggi l'ultimo posto in classifica parla di due striminziti pari e di una sconfitta pesante. Lo storico baluardo difensivo sbriciolato dall'artiglieria di avversari che occupano posizioni ben poco gratificanti nella graduatoria internazionale. Da campione del mondo in carica l'Italia aveva sofferto la prima uscita di scena nel turno inaugurale nell'edizione brasiliana del 1950, quella della ripresa dopo la spaventosa parentesi della guerra: ma quella era una spedizione raffazzonata, un lungo viaggio via mare mare aveva già segnato il nostro destino. Decisiva la sconfitta con la Svezia, inutile la vittoria conclusiva proprio contro quel Paraguay capace adesso di chiudere al comando il gruppo che gli Azzurri avrebbero dovuto monopolizzare. Ma sarebbe andata peggio sedici anni più tardi, nell'edizione inglese che i padroni di casa si sarebbero aggiudicati con qualche aiutino. Perché di quel Mondiale si ricorda ancora la fama regalata a uno sconosciuto odontotecnico della Nord Corea, Pak Do It, inutile la vittoria sul Cile, sembrava ininfluente il passo falso con l'Unione Sovietica, poi la caduta nel ridicolo, Mondino Fabbri e i suoi a far raccolta di ortaggi freschi al rientro in Patria. Allora fu il Brasile campione a uscire al primo turno, sorte condivisa soltanto, oltre all'Italia alla sua seconda disavventura di questo tipo, dalla Francia nel Mondiale asiatico. Marcello Lippi paga molto cari i suoi debiti di riconoscenza nei confronti dei senatori che avevano giocato un ruolo di primo piano nella conquista di Berlino, dimenticando anagrafe e condizione fisica. Lo stesso, pesante errore, aveva condannato Enzo Bearzot nella seconda edizione messicana della Coppa, quella che avrebbe dovuto svolgersi in Ecuador e fu dirottata, per i problemi organizzativi, nel Paese che era stato colpito dal terremoto. Allora il tecnico del trionfo spagnolo aveva chiamato a raccolta superstiti decisamente bolliti, in grado di superare con qualche affanno la fase di avvio con Argentina, Bulgaria e Corea del Sud, ma agli ottavi la Francia di Platini, Giresse, Tigana fece strame della sfinita pattuglia azzurra. Ma non sono i ricorsi storici che possono offrire motivo di consolazione nel momento della resa più umiliante.

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