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L'Italia del calcio come quella reale

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Comediceva il vecchio Mao, la confusione è grande sotto il cielo: si rinvia Parma-Inter per la neve che, all'ora della partita era scomparsa; si accavallano incontri da recuperare o da anticipare mischiando campionato, Coppa Italia e Champions; si concedono calci di rigore per falli inesistenti e se ne negano altri per mezzi omicidi; si vorrebbe cedere in prestito Cassano alla Fiorentina perché non va più d'accordo con l'allenatore Del Neri ma all'ultimo momento, il barese ci ripensa e restano tutti e due, lui e il tecnico, alla Sampdoria. Protestano tutti e tutti, al tempo stesso, si divertono tifano, scommettono e - a tempo perso - scherzano con il laser e se la prendono con i giocatori abbronzati. Questa è l'Italia calcistica e rassomiglia talmente a quell'altra, quella che sta per votare i nuovi governatori regionali, che non abbiamo il diritto di stupirci e tanto meno di protestare. Tutt'al più potremmo chiederci se è possibile tentare di renderla un tantino più razionale, più logica, ed è quello che ha fatto - con un'intervista gigante al collega Agresti - il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, dall'alto del quarto posto in classifica su cui si è inerpicato il suo Napoli che tre ani fa era relegato in serie C. Vorremmo analizzare soprattutto i due punti della conversazione del presidente che ci paiono più interessanti. Uno, che può sembrare marginale e non lo è, riguarda il settore giovanile dei club, e in proposito De Laurentiis ha un progetto: la squadra Primavera azzurra giocherà come i titolari, con un vantaggio evidente per i ragazzi che saranno inseriti in prima squadra, ma in prestito ad altri club non verranno più mandati, «altrimenti spariscono la filosofia del club». Se sono bravi, restano al Napoli; in caso contrario se ne vanno a casa. È un concetto intransigente che si direbbe suggerito dal principio dell'attaccamento ai colori sociali, ma per il presidente non è così è piuttosto l'applicazione di un principio commerciale, la cosiddetta esclusiva di un prodotto originale. Che di questo si tratti lo dimostra l'altro passaggio dell'intervista presidenziale, sul quale il vostro vecchio cronista non è assolutamente d'accordo ma che tuttavia va considerato fondamentale nel progetto di De Laurentiis, ed è la creazione di un campionato europeo, una Champions a cui non si accede anno per anno in base ai risultati del campionato nazionale, ma in base al censo, come dicono i funzionari del Ministero della Finanza. Sarebbe, lo ammette esplicitamente il «boss» del Napoli, una replica europea della NBA - la Lega professionistica di basket degli Stati Uniti - a cui sarebbero ammesse 8 squadre per ciascun paese di eccellenza del vecchio continente e, per l'Italia, col Napoli le due milanesi, le due torinesi, le due romane, Fiorentina e Palermo. I partecipanti al banchetto farebbero una montagna di soldi perché ogni partita sarebbe seguita in televisione da un centinaio di milioni di esseri umani. È un'idea colossale che avrebbe, però, un inconveniente gravissimo come ce l'hanno tante specialità sportive: selezionando soltanto i club miliardari e rinunciando al meccanismo promozione-retrocessione, condannerebbe centinaia di milioni di tifosi di tutte le cosiddette «provincie» del mondo a vedersi ghettizzati, senza speranza di arrivare mai al grande palcoscenico e, per giunta, si sacrificherebbe quel fattore sorpresa che è il sale e i pepe del calcio. Inaccettabile.

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