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Gli altri presidenti hanno abbandonato le battaglie di Lotito

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Vale,per Claudio Lotito, l'antico detto «non datemi consigli, so sbagliare da solo». E non lo dico per sottolinearne gli errori, tanti quanti se ne fanno altrove: anzi, meno. Alla lunga, la sua figura di Cavaliere Solitario, simile a quella di certi eroi western, lo rende più importante e rispettabile del consumato protagonista del «Lotito Show» andato in scena per anni con gioia dei media. Radiofonici e televisivi. Gli scritti - ahinoi - non sono mai riusciti, infatti, a rendere adeguatamente il suo latinorum, la sua studiata retorica, una certa spavalderia frutto forse di timidezza. O di paura. Perchè a stare in questo calcio c'è proprio da aver paura. Per questo l'uomo oggi più impopolare di Roma - ben piazzato anche nel resto del Paese - ha ragione a vivere una forte solitudine esteriore, certo compensata dalla squillante compagnia che gli forniscono i quattro telefonini usati contemporaneamente. A lungo andare - può forse bastare il giro dell'anno - finirà per avere ragione. Lo accusano di avarizia, è prudenza: immagino con quale turbamento abbia vissuto la prima stagione della Lazio in odor di fallimento; un dramma che forse non intendono quelli che allora - critici e tifosi - volevano il club fallito piuttosto che Lotito; da sportivo e da imprenditore ha agito per evitare il disastro, la vergogna, e ha tirato avanti. Questa è la prima vera stagione di grave disagio tecnico, dovuta al «caso Pandev» che per Lotito è diventato ragione di vita, lotta per imporre a un mondo di soldi facili, di divismo costruito a spese altrui, le regole di un gioco che va oltre il pallone e si chiama professionalità. Tutti - nel clan dei presidenti - hanno forse apprezzato il suo rigore, molti lo hanno anche applaudito: ma lo hanno lasciato solo, magari per vedere se ci riusciva lui, a far rispettare i contratti, pronti a seguirlo. Adesso che la lotta si è fatta dura, i presunti duri se la sono squagliata. Sono quei duri che si fanno ritrarre orgogliosi insieme all'ultimo tecnico ingaggiato a fior di euromilioni e dopo pochi giorni lo cacciano. Ne sono già spariti dieci, di allenatori più o meno famosi, mentre lui tiene botta con quel Ballardini che oggi, dalla sala di rianimazione del derby non perduto (poteva anzi vincerlo), è passato a una vigilante tranquillità, speranzoso di ritrovarsi un giorno festeggiato come gli capitò dopo l'impresa di Pechino che - a ben vedere - apparteneva più a Rossi che a lui. Tener duro su due fronti - societario e tecnico - è impresa che sta mettendo a dura prova, ad esempio, lo strasicuro Jean Claude Blanc, quello che la Juve non licenzia allenatori in corso d'opera ma è stato il primo a farlo, con Ranieri, quarant'anni dopo la cacciata di Luis Carniglia. E poi da chi dovrebbe prendere esempio, Lotito? Dal Moratti che semina euromiliardi perchè tanto gli rispuntano dalle viscere della terra? Dai dirimpettai che se non avessero Totti sarebbero ventiquattr'ore al giorno sul "Sole"? Vabbe', i buoni esempi ci sarebbero: la Samp di Marotta, il Parma di Leonardi, la Fiorentina di Corvino, il Chievo di Sartori. Ho appositamente citato i nomi dei ds piuttosto che quelli dei presidenti: il problema di Lotito è tutto qui, la complessa natura del club Lazio richiede ancora la sua attenzione esclusiva, magari confusionaria, a volte fortunata, altre perigliosa. Superata la crisi di maturità, sono convinto che troverà qualcuno particolarmente abile, competente, onesto e...laziale cui affidare una parte - dico una parte, magari quella tecnica - dei problemi. Oggi come oggi - altro abusato proverbio - meglio solo che male accompagnato.

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