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Mourinho lasci il calcio ed entri in politica

L'allenatore dell'Inter Jose Mourinho

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L'Italia è davvero cambiata. Bei tempi quando dicevi «Special» e non veniva in mente Mourinho, ma il Vespino: quello con cui Franceschini scorazzava per i colli emiliani. Ora che la benzina è finita, non si vede come continuare la gita. Del Pd, ovviamente. Al quale non è giovato il cambio di allenatore. Con Prodi e Veltroni che sgomitano per accreditarsi come osservatori all'estero (e chissà che in una delle sue peregrinazioni Walterino non scovi, con rispetto parlando, un nuovo Balotelli), a Dario non resta che gestire quella quota 22 che puzza di retrocessione, se non di fallimento. Il corollario è la ricollocazione del Partito Democratico nello stesso girone da dilettanti in cui si agitano le ombre panzute e polverose di rifondaroli e verdi. E allora serve uno scatto d'ingegno, una mossa mediatica da far saltare sulla sedia il Cavaliere. Perché non affidare la panca dell'opposizione al portoghese dell'Inter? Come trainer è uno qualsiasi: Mancini aveva fatto già stravincere i nerazzurri, e il carneade Grant, suo sostituto al Chelsea, era arrivato a un rigore dal trionfo in Champions. Ma come «pallonaro», il buon Josè è formidabile. Un uomo di comunicazione, cosmopolita ombroso e telegenico, come al Largo del Nazareno non se ne sono mai visti. All'approdo a Londra si presentò così: «Se avessi voluto un lavoro facile sarei rimasto al Porto, con una Coppa Campioni in bacheca, Dio e dopo Dio il sottoscritto».   Un filino autoreferenziale, ma una volta fatta la tara mistica, i teodem forse apprezzerebbero. E che dire della sua insofferenza per le malebolge del football, popolate di complottisti, spie, ruffiani? Osservava ieri Mou, simpatico come un gatto attaccato alle mutande: «Dopo Inter-Roma c'è stato un grandissimo lavoro organizzato per manipolare l'opinione pubblica», e venivano in mente le ubbie di quei politici che lamentano, da ogni parte, le camarille lobbystiche per truccare la partita. Non basta: ecco il circumnavigatore della sfera di cuoio, il Vasco de Gama dell'etica sportiva, raccontarci che lui rifiuta le interviste, anche dietro l'offerta di un compenso, e parla alla stampa solo perché costretto. Da un contratto di 16 milioni l'anno, ma questo è un dettaglio: non è che D'Alema apra la bocca volentieri, anche se non lo fa gratis. Sostiene ancora don Josè: «Non mi piace la prostituzione intellettuale, ma l'onestà». Domenica sera giurava: «Il rigore per noi c'era». Un dribbling dialettico che neanche Eusebio. Del resto, per autodefinizione lui non è un «pirla». Ci pensino al Pd: serve la discesa in campo dello «Special One». Tanto hanno fatto già tilt.

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