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ALLA FINE sono sessantamila e forse di più.

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A ricordare l'impresa tedesca quattro stelle gigantesche, due in distinti Nord, due nel settore sud. Almeno seimila piccoli fans delle scuole calcio a impreziosire proprio i distinti per merito di una lodevole iniziativa della Federcalcio. Un'ora prima dell'inizio della partita, l'ingresso della squadra di Donadoni per il riscaldamento e subito il primo applauso della folla dell'Olimpico. In curva una sparuta rappresentanza di tifosi ucraini, circa trecento, il resto un mare azzurro. L'entusiasmo cresce col passare dei minuti, parte il primo «popopo», lo stadio diventa una bolgia fino all'inno di Mameli, cantato a squarciagola dalla passione della gente capace di sostituirsi ai difetti di acustica dell'altoparlante. I giocatori entrano in campo con le magliette di «Trenta ore per la vita», per ricordare che c'è tanta gente che soffre. Poi, tutti in piedi a spingere gli Azzurri verso la vittoria che serve per riprendere il cammino verso gli Europei del 2008 (qualche fischio solo per Donadoni). Il tifo è incessante, si spera, ci si abbraccia e alla fine si fa festa. Per l'Olimpico è una notte magica come quelle che sedici anni fa accompagnarono l'Italia fino alla maledetta sconfitta di Napoli. Tutti a casa con un'idea in testa: la casa degli Azzurri deve essere sempre nella Capitale. Lui. Sal.

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