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di PAOLO DANI FIRENZE — Conta solo vincere e Roberto Donadoni rischia tutto.

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Arrivano Ucraina e Georgia, ed è già decisiva sulla via di Euro 2008. Il commissario tecnico che ha cominciato il dopo Lippi con un pari e due sconfitte si riaffida al gruppo storico dei Campioni del mondo, consapevole del passaggio delicato e del rischio di veder attribuita a loro una vittoria, ma solo ai suoi ripensamenti un eventuale e ulteriore passo falso. «Ma non dite che mi affido alla vecchia guardia: il Mondiale non è roba di sei anni fa», la replica di Donadoni. «La mia - ha spiegato il ct - non è una marcia indietro, nè un passo di traverso: ci aspettano due partite fondamentali, non si può più sbagliare: lo sanno i giocatori e lo so io. Ho fatto scelte ponderate fino all'ultimo chiamando chi è più in forma». E allora, Donadoni ha incassato nuovamente la fiducia di Pancalli, venuto a Coverciano per incontrare gli azzurri e risolvere su impulso di Riva la grana-premi: ai Campioni andranno 240 mila euro netti. Il suo, di nodo, il ct deve invece ancora scioglierlo. Ha mantenuto la promessa di richiamare i giocatori dell'era Lippi nella convinzione che siano pronti, ma non per questo ha cambiato modo di interpretare il suo ruolo: Donadoni è e vuol restare un allenatore di calcio, non il ct del dopo Mondiale. Non bastasse però la precaria situazione di classifica, tutto rende ancora più insidiose le prossime due partite: il rischio contestazione dell'Olimpico, la gestione delle scelte (esclusione di Gilardino in testa), la deviazione di rotta con la bocciatura di fatto di uomini nuovi come Semioli e Marchionni, e infine la necessità di adattare al gruppo storico l'amato 4-3-3. Eppure Donadoni, da allenatore puro, sceglie la via del lavoro e della leggerezza, anche a proposito di panchine traballanti e giocatori fuori forma. «In questo mese - ha aggiunto Donadoni parlando delle dimissioni formali presentate dopo l'addio di Rossi e subito respinte - non era il caso di scervellarmi: mi sono preparato studiando gli avversari, e apprestandomi a riversare sul campo la determinazione. Ho pensato alle dimissioni. La fiducia di Pancalli fa piacere, ma so di doverla ricambiare L'Italia ha smarrito la voglia di vincere? Mi pare una barzelletta», la risposta all'inviata di una tv inglese. Non hanno invece voglia di ridere - assicurano da Madrid e da Milano - Cassano e Gilardino: il primo convinto di aver cominciato una nuova era azzurra da Napoli («ma ora è diventato adulto, deve parlare con il campo, le chiacchiere non contano più», la bacchettata di Riva); il secondo in attesa fino a tarda sera di sapere se la crisi del gol che lo attanaglia gli sarebbe costata il posto in azzurro. «Mi scuso con qualche giocatore se ha dovuto attendere fino all'ultimo per sapere - ha ammesso il ct - Ho creato qualche disagio, ma volevo sbagliare il meno possibile. Di Cassano me lo dite voi...». Di fatto, a memoria dello staff mai negli ultimi venti anni le convocazioni azzurre erano arrivate così tardi, alle 23 di domenica. «Non mi interessa se a qualcuno sembra una scelta estemporanea», ha tagliato corto Donadoni. «Del Piero? La sua chiamata non è stata tormentata», si è poi affrettato a precisare il ct. C'è poi la questione Olimpico. «La scelta di non chiamare Cassano non c'entra nulla con la geopolitica - ha assicurato Donadoni - Datemi dell'ignorante, ma vi assicuro che non so neanche cosa significhi quella parola... Non vedo perchè Roma dovrebbe fischiarci: abbiamo scelto questo stadio per un'omaggio alla Capitale. Doveva esserlo anche al suo giocatore rappresentativo, prima che facesse certe scelte». Parole che rischiano di riaprire la ferita azzurra su Totti.

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