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La solita storia del dottor Jekyll e mister Hyde

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Quello Schumacher era stato dimenticato. Come si erano perse nell'oblio le sue peggiori nefandezze: il modo brutale con cui si era sbarazzato dell'ingenuo Damon Hill sul circuito di Adelaide nel '94, conquistando con la Benetton il primo titolo mondiale e, ancora, al volante della Ferrari, la manovra dolosa per sbattere fuori pista Jacques Villeneuve nel decisivo Gran Premio di Jerez del '97, che gli era costata l'umiliante esclusione dalla classifica finale del campionato Nella lunga storia delle corse abbondano esempi di campioni duri e cinici. Lo è stato anche Senna. Ma la slealtà dimostrata da Schumacher in determinate occasioni non aveva precedenti, tradiva le leggi non scritte delle piste, quell'etica tutta particolare rispettata da qualsiasi professionista delle competizioni motoristiche. Sembrava come colto da un raptus, incapace di frenarsi quando vedeva svanire la possibilità di vincere, quasi un caso da psicanalisi. Ieri, nelle qualifiche del Gran Premio di Monaco, quello con le maggiori attenzioni mediatiche, trasmesso persino dalle televisioni americane in un paese dove la Formula 1 è uno sport sconosciuto, il pilota della Ferrari è di nuovo caduto vittima del suo vizietto, disposto ad una rovinosa caduta d'immagine pur di conservare la pole position. I commissari di gara, dopo lunghe, interminabili ore hanno emesso il loro verdetto: colpevole! Una sentenza che lo ha condannato a perdere la corsa prima ancora che abbia inizio. Resta, comunque, il beneficio del dubbio. Senza quel presunto errore da principiante alla curva che precede il rettilineo d'arrivo e che ha impedito ad Alonso di completare a tutta birra il giro in cui forse avrebbe ottenuto il miglior tempo nelle qualifiche, Schumacher sarebbe in ogni caso partito dalla prima fila, non compromettendo le sue possibilità di vittoria nella gara di oggi. Di conseguenza, non avrebbe avuto senso compiere un'azione di rara antisportività, con i rischi connessi. La verità, in ogni caso, la conosce solo lui, in quanto è impossibile determinate con certezza se il motore della sua vettura si sia spento casualmente oppure per una furbata del pilota. Ma chi doveva giudicare ha optato per la malafede.

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