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L'azzurro del pattinaggio si gode l'oro «Il doping? Nel nostro sport non serve Ora punto al podio nei diecimila metri»

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Come lui, nessun italiano prima. Enrico Fabris, chi era prima e chi è diventato adesso? «Ero e resto un ragazzo tranquillo. Uno che ama anche stare con se stesso, isolarsi e pensare. Per il resto, sono iscritto a Scienze Forestali e sono un poliziotto delle Fiamme Oro: al corso ci hanno detto che valiamo meno delle formiche, ma adesso magari mi promuoveranno». Ha detto di avere pensato alle Olimpiadi per cinque anni: si spieghi meglio. «Questa era un'occasione unica per far parlare del nostro sport: tutto il lavoro fatto è stato pensato per raggiungere il top in questi giorni». Era convinto di poter fare così bene? «Sapevo di valere. Non ero convinto di riuscire a dimostrarlo». E adesso? «Avremo ancora gare a marzo, poi mi farò una bella vacanza. Ma rimarrò me stesso: ho la testa quadrata, per me l'allenamento è tutto». Andrebbe a un reality show per un milione di euro? «Dovrei pensarci. Ma contano di più i soldi o lo spirito sportivo che mi ha fatto vincere un'Olimpiade? Comunque fino a Vancouver 2010 il problema non si pone. Dopo, eventualmente, ci penserò: ma certe proposte possono anche ingannare un atleta». Nel pattinaggio il doping ha ragione di esistere? «No. Puoi avere tutta la benzina che vuoi in corpo ma, se non sai come mettere i pattini sul ghiaccio, non vai da nessuna parte». Perché un ragazzo dovrebbe avvicinarsi al vostro sport? «Perché può mettere alla prova se stesso e i propri limiti: in pista ci sei tu con il cronometro, non puoi barare né essere fortunato». Come ha trascorso la notte dell'oro? «Con la testa tra le nuvole, papà che non si muoveva più dall'emozione e mamma eccitata come non l'avevo mai vista prima. Comunque ho anche dormito». Pensa di avere ancora dei margini di miglioramento? «Sì. Atleticamente posso fare meglio: psicologicamente anche, pur se sono progredito tanto nell'ultimo anno». Ha mai vissuto momenti difficili, in cui magari ha pensato che fosse giusto smettere? «È successo. Soprattutto quando non ci sono gare e la preparazione è molto dura. In ritiro succede anche di litigare, ma poi passa tutto». Di cosa avrebbe voglia adesso? «Di tornare alla mia vita di tutti i giorni. Quello che mi sta capitando qui è molto piacevole, ma i miei ritmi sono altri: voglio andare a casa e abbracciare mia nonna Gina. E, appena sciolte le nevi, andrò a farmi una bella passeggiata per i monti». La cosa più strana che le è successa in queste ore? «Un sms mandatomi da un mio amico che diceva: "Ti ho visto in tv, ti spiace portarmi gli appunti di Economia appena possibile?». Che differenza c'è tra il vincere l'oro in squadra e l'oro individuale? «La condivisione di un trionfo e la consapevolezza, senza arroganza, di essere da solo in cima al mondo». Come pensa di gestire i prossimi quattro anni? «Ignorando i giudizi negativi che arriveranno la prima volta che non salirò sul podio». Avrà qualche difetto anche lei. O no? «Sono fanatico dell'allenamento, anche a scapito dei rapporti personali. E sono timido e sfidanzato». Domani ci saranno i diecimila metri: cosa si aspetta? «Punto al podio, anche se non sono la mia specialità. Farò passerella e, se anche dovessi arrivare dietro, mi accontenterei».

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