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Nel calcio niente Robin Hood

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Dava ai poveri, ristabilendo una sorta di equilibrio sociale, non immaginava che il mondo avrebbe, qualche secolo più tardi, ribaltato i suoi umani ideali, rubare ai poveri, quel poco possibile, per dare ai ricchi, così che la forbice si dilati ulteriormente, che il potere resti saldo nelle mani giuste, quelle di chi lo detiene. Nel mondo del calcio, francamente, la presenza di Robin Hood armati, se non di arco e strali, di sano buonsenso, non si è mai manifestata. Così è più facile il compito degli usurpatori e dei truci sceriffi al loro servizio, anche se nel calcio nessuno è disposto a fare professione di povertà, se non quando lo spettro del fallimento si materializza imperioso. Tuttavia, anche nell'assolutamente virtuale par condicio che gli amministratori di turno della cosa calcistica vorrebbero gabellare al popolo come reale, si verifica lo stesso effetto della fattoria orwelliana: dove, se tutti gli animali sono uguali, i maiali sono più uguali degli altri. In questo senso, la vicenda dei diritti televisivi, giunta ad animare un finale di stagione costretto a vivere sugli esigui focherelli degli ultimi scontri per Champion's e salvezza, diventa dunque esemplare. Società con quasi irrilevanti problemi di bilancio: Milan, Juve e Inter, dove ricchissimi padri padroni firmano assegni con la stessa disinvoltura di una distribuzione di autografi, ricevono un mucchio di soldi pronta cassa, un paio di stagioni retribuite in anticipo, con un ringraziamento reso tangibile dalla lievitazione dei contratti in scadenza. Chi di soldi freschi avrebbe realmente assoluta necessità, magari anche per propri errori di valutazione, non inferiori comunque a quelli dei «ricchi», viene ignorato, nelle elargizioni generose di Sky. Logico che si indignino profondamente Roma e Lazio, come i loro tifosi votati alla ribellione, identificabile nella rescissione degli abbonamenti. Fermo restando che un'impresa commerciale ha il dovere, prima che il diritto, di tutelare i propri interessi, mi sembra di intravedere, nell'operazione, anche una sorta di rancorosa vendetta verso le due società romane portate, in passato, a privilegiare la neonata Stream nei confronti della potente Telepiù di Murdoch. Ma può accadere soltanto in Italia: dove la mutualità non è neanche considerata, mentre è legge negli Stati Uniti e parzialmente in altri Paesi europei calcisticamente evoluti come Spagna e Inghilterra; soltanto da noi, ripeto, può accadere che la stessa mano, quella di Adriano Galliani, firmi lucrosi contratti come amministratore del Milan, tenendosela in tasca, quella mano, quando si tratta di cercare accordi per la Lega: della quale è presidente e che rappresenta tutte le società. Queste ultime, infine, e mi riferisco ai club estranei al «triangolo delle Bermude» (note isole tra Lombardia e Piemonte), fanno bene a protestare, dedicandosi però anche al sano esercizio dell'esame di coscienza. Nessuno ha giocato di anticipo, adagiandosi invece nella routine, nessuno ha pensato di creare a priori un fronte che ponesse un argine a una situazione prevedibile, nessuno che mettesse la Lega con le spalle al muro, obbligandola a scelte coraggiose, ma che sarebbe più giusto definire semplicemente civili.

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