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Senza Stankovic è tornato il puzzle dei prodigi

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E avvampa pure l'orgoglio dei laziali, cui le sventure portano furore creativo per smentire quanti ne pronosticano, da tempo, l'annientamento. Poi, in senso tecnico, il tonfo milanista, sul versante della coppa Italia, pare addirittura sublimare i sacrifici biancocelesti che credevamo irreparabilmente penalizzanti, quasi stabilissero un confine fra gli azzardi cragnottiani e le tempeste successive. A volte capita, come può testimoniare Nesta (baluardo rossonero, sottratto l'altra notte allo scempio), già decisivo nel beffare i berlusconiani sei stagioni fa, quando giuravamo sulla sua immutabile lazialità, quando acquisire quel trofeo significò decollare verso l'epopea anomala. Che oggi resta irripetibile, salvo scoprire arrangiamenti dove l'armonia corale privilegia le forze superstiti e rende meno angosciosa l'eventualità di castighi ancora più drastici. Questo precisano i finalisti assatanati, mentre Adriano Galliani lascia prima lo stadio dei riusciti blitz anti-Capello, sotto un totale tennistico davvero umiliante. Tutto meritato, tutto spettacolare per galvanizzare i sostenitori paganti e l'azionariato popolare, da cui dipende grosso modo il prolungamento della miracolosa normalità, aspettando sempre l'assestamento definitivo. Intanto Roberto Mancini ha ripristinato sé stesso, dopo le omissioni di Champions League e alcuni mesi un po' sventati, causa equivoci tattici o fissazioni poco premianti. Via Dejan Stankovic, è tornato alla ribalta il puzzle sparito; cioè l'architettura geniale costruita durante il girone d'andata del campionato scorso, in pieno caos societario. Forse l'asso ceduto deresponsabilizzava compagni sacrificati al suo presunto e irrecuperabile splendore. Forse i turbamenti interisti lo azzeravano spesso, dentro formazioni rallentate dallìassenza di Cesar e Lopez, scattisti devastanti. Forse si aggiunsero le stroncature pubbliche, i danni arbitrali e un gruppo non al top della condizione psicofisica, oggi evidente. Serve trovare troppe verità? Noi preferiamo scorrere il febbraio redditizio dell'allenatore di Jesi, unico stratega a squarciare la reputazione ancelottiana in casa e in trasferta. Con impudenza. Con una linea mediana di soli propositori. Con il 4-3-3 impreziosito dai suggerimenti profondi e dalle sintesi del rigenerato Fiore, talento che oscurerà Camoranesi nella prossima avventura di Trapattoni agli europei portoghesi. Certo, i rimpianti evaporano e prevale la speranza di procedere per accumulo, catturando quarto posto e quarta soddisfazione tricolore. Due obiettivi propedeutici al risanamento, due prodezze manciniane che favorirebbero probabilmente l'allestimento d'un consorzio garante del realizzato aumento di capitale, da centoventi milioni di euro. Certo, superare il munifico Moratti risulterà arduo quanto scavalcare problemi che vanno dai vicini obblighi-Uefa all'accordo riguardante la proroga delle procedure per gli stipendi pregressi, non onorata come prevedevano le soluzioni baraldiane. Ma i prodigi dell'organico paradossalmente aggiustato dalle ristrettezze, vanno oltre il valore dei miliardi nerazzurri. O così sembra anche a Milan, Roma e Juve, pretendenti allo scudetto che dovranno sfidare il nuovo boom scaturito dalla povertà di Formello.

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