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Basket L'addio all'Eurolega ha messo a nudo tutti i limiti di Roma

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Il ritorno nella massima manifestazione continentale, dopo vent'anni di lungo oblio, si chiuderà quindi mestamente con un possibile ultimo posto in un girone che era stato lecitamente salutato come più che abbordabile. Ad eccezione del Barcellona nessuna formazione di marziani. Ma Roma invece si farà da parte. Fa rabbia pensare alla squadra della scorsa stagione che probabilmente nel girone A avrebbe conteso ai catalani la prima piazza. Ma il passato resta tale ed allora bisogna capire cosa non abbia funzionato nel cammino europeo. Innanzitutto la scelta del pivot. Tutti, stampa compresa, salutarono la firma di Griffith, dopo il definitivo no di Santiago come un colpo eccezionale. Ma Rashard non era il primo nome della lista di Bucchi. Che si sarebbe «accontentato» di Blair, sfumato d'un soffio. Il pivot, oggi in forza all'Ulker, avrebbe garantito anche quell'atleticità che manca ad una squadra troppo spesso zavorrata a terra. Così come l'avrebbe certo regalata quel David Vanterpool, anche lui vicinissimo alla firma, che, come altri giocatori (Jasikevicius ad esempio) Roma ha perso per non essere riuscita ad inserirsi nel gioco a rilancio che è proprio dei club di vertice. Si è tentata così la scommessa Bennermann, persa se è vero che il gocatore è stato salutato a metà stagione. E questa squadra, di medio-alta caratura per il campionato ma troppo fragile per l'Eurolega, con Myers spremuto da tre partite in sette giorni, ha anche avuto la «sfortuna» di doversi esibire in quel PalaLottomatica che è stato spesso alleato degli avversari. Mentre all'orizzonte si profila la sagoma del «gaucho» Marian Ceruti, 24 enne ala italoargentina. Ma si può curare una polmonite con l'aspirina? No, e Bucchi e Brunamonti lo sanno bene. Ceruti servirebbe semmai ad allungare le rotazioni, restando alla finestra se si presentasse l'occasione di sfruttare il visto lasciato libero da Buford.

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