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Il governo vuole modificare il decreto spalma-perdite

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La partita che mette in palio il futuro del calcio italiano si fa adesso maledettamente seria. Il Governo non lascerà solo il pallone angosciato dalla decisione della Ue di bocciare il decreto «spalma-debiti» varato a febbraio (a favore delle società con seri prpoblemi di disavanzo). E il vertice di ieri a Palazzo Chigi tra il vigilante sullo sport Mario Pescante e i dirigenti degli uffici legislativi dei ministeri dell'economia e delle politiche comunitarie, è servito soprattutto per tracciare una linea comune per non arrivare impreparati all'appuntamento con la lettera ufficiale di contestazione della commissione Antitrust. Quella che Pescante, a conclusione dei lavori presideuta dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, ha definito «una prima presa di coscienza a livello tecnico» è stata in realtà la stesura dettagliata di una strategia «per una serie di contatti diretti Stato-Comunità». Convincere la Ue a cambiare idea è impresa complicata, soprattutto è apparso a molti difficile ribattere alla contestazione sulla contabilità - e sulla conseguente spalmatura delle minusvalenze su dieci anni - non in linea con le direttive di Bruxelles. È su questo «passaggio critico» (la «procedura d'infrazione» è competenza del commissario Frits Bolkestein) che il Governo si è concentrato più a lungo pensando a modificare di fatto il decreto, ipotesi confermata anche dal sottosegretario dell'Economia, Manlio Contento. La convocazione di rappresentanti degli uffici legali dei ministeri economici a proposito degli appunti mossi dal commissario Mario Monti (decreto incompatibile con le norme comunitarie) sono serviti per chiarare al Governo come stanno le cose e i punti su cui si può contrattaccare. Gli elementi chiave sono tre: il decreto non si configura come «aiuto allo Stato» poichè non c'è esborso di denaro da parte del governo, semmai una decisione una tantum motovità dalla straordinarietà della crisi; i club sono società di capitali solo da sette anni ('96) e dunque la loro atipicità va assorbita col tempo; in altri Paesi la pressione fiscale è molto meno pesante (in Italia si paga l'Irpef al 100%). E Pescante fotografa così la situazione: «Come potremmo sospendere degli aiuti che non ci sono stati?».

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