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I 170 anni della Repubblica Romana e il ricordo di Gigi Magni

Gianluca Dodero
Gianluca Dodero

Presidente dell'associazione Passione Romana. Comunicatore, cultore e divulgatore di Romanità. Sono anni che scrivo di Roma, su Roma, in maniera disomogenea, frammentaria e istintiva. Sin da bambino nutro nei suoi confronti una passione divorante, un amore che va oltre il parentale. Da bambino piangevo ogni qualvolta ne vedevo i monumenti, poi ho iniziato a percorrerla a piedi. Chilometri su chilometri su chilometri e sono solo all'inizio. Perchè Roma è un cammino. Non si esaurisce il legame per lei nella mera conoscenza del suo aspetto e dei suoi luoghi, nelle pieghe della sua millenaria storia. Per trovare le risposte alle domande che questa città Misteriosa ci pone, bisogna avere Fede.

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Nel 170° anniversario della gloriosa Repubblica Romana, l'associazione culturale “Gli amici di Righetto” ha organizzato la cerimonia del conferimento del suo Premio Nazionale nel Museo della Repubblica Romana e della memoria Garibaldina, dedicandola al cantore della Roma risorgimentale, il grande Gigi Magni. Sono emersi tanti aneddoti gustosi sul celebre regista e sceneggiatore, sulle scene dei suoi film più celebri, sulla sofferenza personale provata da Magni, che soffriva l'etichetta di anticlericale in quanto cattolico. Il presidente Roberto Bruni ha ricordato la battaglia dell'associazione per far intitolare al regista la balconata del giardino degli Aranci, e le difficoltà dell'iter burocratico che, però, non riesce tuttora a fiaccare la passione dei promotori. In seguito è stato premiato Antonello Avallone, l'artefice della trasposizione teatrale dell'opera cinematografica  “In nome del Papa Re”. Operazione vincente e dall'alto coefficiente di difficoltà, in quanto è riuscito a conservare le inconfondibili atmosfere del film e anche quel linguaggio ironico e colorito del capolavoro cinematografico. Avallone ha riferito lo scambio di battute avuto alcuni anni fa al termine della prima al Teatro dell'Angelo, con Magni che si complimentò e lo invitò a proseguire in quella produzione teatrale tematica: “Da oggi li firm mia so' tua”. Teatro dell'Angelo oggi chiuso, un altro luogo culturale importante e verso il quale le istituzioni cittadine non mostrano la dovuta sensibilità. Campeggia una scritta sulla saracinesca abbassata: “Quando un teatro chiude non fa rumore. Bonanotte popolo”. Davvero significativo. Da sottolineare, infine, l'unione di intenti mostrata dal Centro Romanesco Trilussa, presente oggi, che ha accolto l'invito di Bruni di unire le forze nell'organizzare il Premio Letterario Luigi Magni. Tutto molto bello, pregno di significati e a tratti sinceramente emozionante. Un'oasi di romanità in un deserto sterminato. Il tema vero è che bisogna porsi le seguenti domande: quanti tra gli under 25 romani conoscono Gigi Magni? E quanti Righetto? Ho paura nello scoprire la risposta. I custodi attuali  della storia, del dialetto, delle tradizioni, sono spesso autoreferenziali. Non sempre per colpa loro, ma di sicuro non riescono a creare le condizioni per una partecipazione giovanile a queste iniziative meravigliose. Eppure uno dei compiti primari dei custodi è trasmettere l'amore per il bene custodito. Le cause dello sfilacciamento sociale e culturale, della mancanza totale di senso di appartenenza a questa città sono tante e vengono da lontano. Il punto è che la digitalizzazione ha creato solchi generazionali difficilmente colmabili, ha ridotto le complessità e l'attenzione verso la complessità. A farne le spese le tradizioni, la trasmissione del sapere e dell'attaccamento viscerale. Risultato: perdita totale di identità. C'è un sottobosco, però, cui non diamo mai la giusta attenzione. Pochi innamorati valgono molto più della massa di indifferenti. La partita si deciderà in base alla capacità degli innamorati di coinvolgere attraverso strumenti e idee, progetti innovativi e modi intelligenti di comunicare, coloro che dormono (a livello di conoscenza). E qui restiamo nella sfera dell'azione che risponde alla coscienza personale. Se volessimo essere fatalisti, non dovremmo temere nulla. Per riacquistare la giusta fiducia, basta rileggere le memorie di Adriano: “Cabria si preoccupa di vedere un giorno il pastoforo di Mitra o il vescovo di Cristo prendere dimora a Roma e rimpiazzarvi il Pontefice Massimo. Se per disgrazia questo giorno venisse, il mio successore lungo i crinali vaticani avrà cessato d'essere il capo d'una cerchia di affiliati o d'una banda di settari per divenire a sua volta una delle espressioni universali dell'autorità. Erediterà i nostri palazzi, i nostri archivi; differirà da noi meno di quel che si potrebbe credere. Accetto con calma le vicissitudini di Roma Eterna.” Auguri a chi oggi si emoziona ancora per le gesta di Righetto e della Repubblica Romana e non vede l'ora di tramandarlo ai suoi figli.

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