Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Roma, evacuata la scuola ebraica. Ghetto isolato e passato al setaccio

Maria Elena Marsico
  • a
  • a
  • a

Momenti di paura al Ghetto ebraico della Capitale quando intorno alle 10 una telefonata anonima avrebbe avvertito di una bomba nella scuola. Immediatamente vengono attivate tutte le procedure di sicurezza e la scuola evacuata. L'allarme viene poi confermato dalla stessa comunità che assicura che «sono state attivate tempestivamente tutte le procedure di evacuazione già ben consolidate ei protocolli di sicurezza stabilità». Sul posto le forze dell'ordine sono schierate e tutta l'area intorno alla scuola ebraica al Portico d'Ottavia è presidiata: presenti polizia e carabinieri con indosso i giubbotti antiproiettile, con in braccio i fucili. La tensione è alta, tutti gli accessi intorno alla scuola sono interdetti, transenne bloccano curiosi e giornalisti, vietato fotografare. Qualche genitore arriva trafelato «l'ho saputo dalla tv», e c'è chi chiama ripetutamente il cellulare dei propri figli.

 

 

 «Con il supporto delle forze dell'ordine tutti gli studenti e il personale scolastico si trovano ora al sicuro in un luogo protetto», ha rassicurato la stessa nota della comunità ebraica. Poco dopo tuttavia, l'allarme si ridimensiona. L'evacuazione è “fittizia”, spiega ancora la Comunità, anche se intorno alla sinagoga la tensione rimane alta. Alle 12 rimangono solo i tanti genitori in attesa dei propri figli e la massiccia presenza di forze dell'ordine potrebbe essere giustificata dal fatto che tutti i luoghi dove c'è «una maggiore popolazione ebraica» sono «sorvegliati speciali». Con la guerra tra Hamas e Israele anche l'Italia ha innalzato l'allerta sicurezza. «Non possiamo essere tranquilli con quello che sta succedendo. Ogni ebreo è un obiettivo», spiega un papà. Alcune mamme non vogliono parlare, «non sappiamo niente. Non abbiamo la certezza che sia una esercitazione». I genitori fanno gruppo tra di loro, spaesati. «Siamo molto tese», spiega una donna. Ma l'assessore alla comunicazione della comunità ebraica di Roma, Raffaele Rubin, lo ribadisce: «È stata un'esercitazione».

 

 

Per un papà però sembra non essere fittizia, «no non lo è», risponde. A quel punto interviene un altro uomo, gli dà un colpetto sul braccio e ripete: «Si stavano esercitando». Dall'esterno della scuola ebraica si sentono le voci degli alunni, ormai rientrati nell'edificio. «Noi facciamo sempre un po' di attenzione perché sappiamo di essere odiati», racconta un uomo. «Comunque, anche se in questi giorni abbiamo un po' più di paura, non togliamo la kippah. Qui non c'è pericolo, ma c'è molto fraintendimento – aggiunge - Noi siamo ebrei italiani, romani. Non siamo israeliani, ma molti fanno confusione, pensano che tutti gli ebrei siano israeliani». L'uomo poi si gira e indica, in linea d'aria, il memoriale di Stefano Gaj Taché, il bambino di due anni ucciso nell'attentato terroristico alla sinagoga di Roma il 9 ottobre 1982, dove rimasero ferite altre 40 persone, poi con lo sguardo sul figlio ammette «siamo preoccupati».

Dai blog