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Roma, case famiglia a rischio per il boom delle bollette

Damiana Verucci
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Una sproporzione importante tra il costo reale e giornaliero di una casa famiglia, che sostiene chi la gestisce, e quello che elargisce il Comune di Roma, che non è neanche la metà del dovuto. L'allarme arriva da Confcooperative Roma e non è certo la prima volta a risuonare forte e chiaro all'indirizzo delle Istituzioni. Questa volta, però, porta uno studio a sostegno della tesi dell'insostenibilità dei costi da parte di chi sta accanto notte e giorno a persone con disabilità lievi o importanti, la cui alternativa, in mancanza di una famiglia in grado di sostenerli, è quella di una RSA e quindi di un ulteriore aggravio per la sanità pubblica. Quello che svolgono le circa 60 case famiglia sparse sul territorio romano per le circa 400 persone ad oggi assistite è un aiuto prezioso e pieno di emozioni forti. Perché in queste dimore, che funzionano proprio come un vero e proprio appartamento dove vivono al massimo 8 persone assistite da operatori sanitari h24, non c'è soltanto assistenza fisica ma soprattutto morale; un modo per far sentire meno soli gli ospiti con disabilità e aiutare le famiglie di origine dove molto spesso ci sono genitori ormai anziani o deceduti o non in grado di sostenere le spese di un figlio gravemente malato. Ma sono anche case che ospitano mamme con bambino o bambini e adolescenti orfani.

 

 

Lo studio di Case al Plurale, coordinamento delle case famiglia di Roma e del Lazio parla chiaro: a fronte di un costo giornaliero ad ospite pari a circa 219 euro (disabilità semplice), il Comune ne risarcisce 105, meno della metà. Fatto ancora più grave è che quanto deve essere dato dalle Istituzioni non viene mai aggiornato in base al tasso di inflazione e in un momento come questo, dove tutto è aumentato, dal costo delle bollette fino alla spesa per mangiare, la sproporzione diventa più evidente. «Le case famiglia sono praticamente tutte a rischio chiusura, lo si capisce facilmente – spiega il Presidente di Confcooperative Roma, Marco Marcocci – a tenerle in piedi ormai da troppo tempo sono i privati che le gestiscono, ma che possono farlo attraverso le donazioni delle persone, che per fortuna esistono ma sulle quali non si può fare troppo affidamento perché oggi ci sono, ma domani chi può dirlo?». L'attuale amministrazione Gualtieri, fa sapere ancora Marcocci, un passo avanti sembra averlo fatto aumentando di 7 euro la retta giornaliera ad ospite, una cifra comunque ancora molto lontana da quella che servirebbe per colmare il gap.

 

 

Chi consente a queste case di andare avanti non può che sperare in scelte politiche diverse e più attente ai bisogni delle persone fragili. Come Luigi Vittorio Berliri, che gestisce due case famiglia a Roma, una con persone gravemente disabili, l'altra con disabilità meno gravi. «Su un totale di 22 ospiti il Comune ne paga 10 alle rette attuali – racconta Luigi – il resto lo devo ricoprire io e lo faccio per senso di responsabilità, non certo per guadagno economico, che non c'è. Se non potessi però contare sulle donazioni che raccoglie la mia cooperativa avrei già dovuto da tempo riconsegnare le chiavi all'Amministrazione». Una sorta di protesta dimostrativa che anni fa è già stata fatta da parte dei gestori delle case famiglia, che hanno gettato le chiavi nella fontana di Trevi, senza però ottenere nulla. «Devo dire che questo assessorato alle politiche sociali ci ha ascoltato subito e dato un appuntamento per parlare – continua Luigi – fatto che non è accaduto in passato, almeno in modo così celere. È un segnale di speranza che le cose possano cambiare, poi bisognerà vedere cosa uscirà di concreto da questo appuntamento».

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