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Feste no vax per avere il green pass: "Ho fatto di tutto per prendermi il Covid, ora posso lavorare"

Alessandra Zavatta
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«Ho fatto di tutto per prendermi il virus e ci sono riuscita. Adesso ho il green pass e posso continuare a lavorare, altrimenti non avrei saputo come far mangiare mio figlio». A parlare è Linda D., 52 anni, insegnante elementare che ha partecipato a più di un Covid party prima di ritrovarsi positiva. Rossella B., 45 anni, educatrice in un asilo nido alla periferia di Roma, è invece arrabbiatissima perchè alle feste per infettarsi c’è andata, dieci volte, ma è sempre risultata negativa. Adesso è sospesa dal servizio. «La preside mi ha invitato più volte a vaccinarmi. Ma piuttosto che farmi iniettare questi sieri sperimentali preferisco restare senza lavoro anche se mi pesa tantissimo farmi mantenere da mia madre pensionata».

 

Non siamo no vax - ci tengono a sottolineare le insegnanti - Siamo soltanto scettiche per le molte bugie dette dal governo su questi farmaci a terapia genica che dovevano immunizzare e non immunizzano affatto. Che dovevano proteggere dalla malattia grave e questo non accade sempre, con tante persone con due, tre dosi finite in ospedale, compresi diversi docenti«. «Di vaccini ne abbiamo fatti nella nostra vita ma di quelli «veri», con il virus inattivato - spiegano - Così, visto che siamo ricattate e non essendo al momento distribuiti vaccini «veri» in Italia, abbiamo deciso di immunizzarci con il virus originale della Sars. Meglio una settimana di febbre, tosse, raffreddore che i devastanti effetti dei sieri genici che abbiano visto su alcune nostre colleghe. Di qui l’idea di partecipare ai Covid party». Ma chi ci va? Come si fa ad essere invitati? 

 

Non sono soltanto maestre e professori ad andare ai party ma pure vigili urbani, qualche poliziotto e molti cinquantenni, sessantenni a cui è stato imposto l’obbligo vaccinale per poter lavorare. «Infettandoci e poi guarendo otteniamo il green pass guadagnando pure un’immunità molto più potente e duratura dei vaccinati perché contro tutte le componenti del virus», spiega Angela B., 48 anni, docente presso una scuola media. «L’appuntamento per il Covid party è in case private, il luogo dove vive il positivo alla Sars», raccontano le maestre. «Si viene invitati attraverso le chat aperte su Telegram, Whattsapp, Facebook. Il positivo deve indossare la mascherina dove avrà respirato, tossito, starnutito per ore, mascherina che verrà poi indossata a turno proprio dagli aspiranti malati».

 

Altri fanno al contagiato un tampone casalingo e poi chi vuole essere infettato se lo infila nel naso, strofinando bene. «Alcuni mettono poi il tampone nella carta stagnola e lo congelano nel freezer», rivelano. «Per contagiarsi dopo tre, quattro giorni quando scade il green pass. C’è pure chi non vuole fare la terza dose e spera di ammalarsi per avere la tessera verde rinnovata e lavorare». Ma cos’altro si fa ai Covid party? «Si fa festa, una festa triste a mio avviso: tutti sanno perché sono lì, obbligati a prendersi un malanno che mai avrebbero voluto per non perdere il lavoro», racconta Rossella B. «Si chiacchiera, si prendono dolci, pizza, torte fatte in casa, si scambiano esperienze e soprattutto si scambiano i bicchieri con i positivi. Il 70 per cento riesce ad infettarsi, ma non sempre al primo party».
 

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