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A Roma scatta la movida col coprifuoco

Susanna Novelli
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La Capitale sotto coprifuoco. Questo potrebbe accadere, forse già da oggi, al termine del tavolo prefettizio. Una chiusura anticipata dei locali. Non per la pandemia, sia chiaro, ma per evitare che la «movida» diventi violenta. Un’idea talmente assurda che rimanda al proibizionismo degli anni Trenta. E dietro la quale si nasconde una lotta tra lobby che punta a mietere due sole vittime: cittadini e politici. Ma facciamo un passo indietro. Da oltre un anno si parla di «mala movida», intesa come fenomeno di giovani, spesso giovanissimi, che finiscono le loro brave serate a suon di botte. Complice la vendita di alcolici che avviene in ogni dove e a qualsiasi ora, anche se si è minorenni. Per arginare il fenomeno della «mala movida», il prefetto ha già messo in atto il "dacur", ovvero un provvedimento di allontanamento del soggetto violento da una determinata area della città. Non basta. Soprattutto in una Capitale grande otto volte Milano. Ecco allora che il centrosinistra si arrovella da giorni sulla proposta delle due minisindaco del I e del II Municipio, ovvero del centro storico, dove la movida si allieta in diversi rioni: anticipare la chiusura dei locali (dalle 3 alle 2 di notte) e imporre la chiusura dei minimarket alle 22.

Una "trovata" che tuttavia non convince pienamente il sindaco Gualtieri - tant’è che l’ordinanza prevista l’altroieri non è stata emanata - mentre subisce il pressing degli esercenti che, dopo la sentenza del Tar che ha bocciato il divieto di apertura di nuovi minimarket in centro, sono tornati sul piede di guerra contro quelli che considerano i «nemici numero uno». Di nemici, però, ce ne sono sin troppi. A cominciare dalla mancanza cronica di risorse che vede un organico della Polizia locale pari a quello di una media cittadina di provincia. Per arginare il problema della «mala movida» basterebbero più controlli e multe a chi vende alcolici ai minorenni. Ma gli agenti sono pochi, nonostante chi conosca il territorio sappia perfettamente dove, come e chi «non osteggia» la somministrazione di alcolici o l’allontanamento di soggetti «a rischio».

Ma davvero la soluzione è quella di anticipare la chiusura? A maggior ragione in un momento in cui la pesantezza psicologica di due anni di pandemia, di chiusure, restrizioni, certificati vari, scuole aperte, scuole chiuse, palestre sì, discoteche no, comincia ad avere effetti sociali proprio su quella generazione. La soluzione deve essere politica, come quella paventata da diversi esponenti sia della maggioranza sia dell’opposizione. Creare alternative, come i cinema a prezzo calmierato, certamente, ma anche pensare a un percorso nelle scuole che abbia come obiettivo quello di rendere consapevoli i ragazzi sull’utilizzo di droghe, alcol e violenza. Insomma, basterebbe ricorrere a quel caro, vecchio, infallibile buon senso del padre di famiglia.

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