Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Omicidio Cerciello: ergastolo ai due ragazzi americani che uccisero il carabiniere

Valeria Di Corrado
  • a
  • a
  • a

Non hanno avuto nessuna pietà per Mario Cerciello Rega e i giudici non hanno avuto nessuna clemenza per loro. I due amici statunitensi Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth, venuti da San Francisco nel 2019 per trascorrere le vacanze estive nella Città eterna e da allora reclusi in carcere, in Italia probabilmente ci resteranno per sempre, ma dietro le sbarre. Dopo quasi 13 ore di camera di consiglio nell’aula bunker di Rebibbia, la prima Corte d’assise di Roma li ha condannati entrambi all’ergastolo per l’omicidio volontario del 35enne vice brigadiere dei carabinieri, in servizio alla stazione Farnese. Agli imputati non è stata riconosciuta la legittima difesa, né alcuna attenuante. D’altronde l’articolo 52 del codice penale prevede che non sia punibile solo chi agisce «contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa». Invece nella presunta difesa di Elder non c’è niente di proporzionato.

 

 

Cerciello, infatti, la notte tra il 25 e il 26 luglio 2019, è stato brutalmente ucciso in via Cossa (nel quartiere Prati) pur essendo disarmato; così com’era disarmato il suo collega e compagno di pattuglia, Andrea Varriale. Finnegan ha infierito con ben 11 coltellate contro la vittima, in meno di 30 secondi: prima sul fianco sinistro e poi su quello destro, cambiando persino la mano con cui impugnava la lama da 18 centimetri, come se fosse in un videogioco, come se davanti a sé avesse un nemico virtuale o un fantoccio. «Sentivo Mario che urlava con una voce strana, provata: “Fermati! Carabinieri! Fermati!” - aveva riferito Varriale ai giudici - Ho alzato lo sguardo e ho visto che barcollava e sanguinava dal costato, come una fontana. Poi ha strabuzzato gli occhi ed è crollato per terra. A quel punto gli sono corso vicino, mi sono sfilato la polo e ho cercato di tamponare la ferita, ma in pochi secondi la mia maglia era zuppa di sangue».

 

 

La moglie della vittima, Rosa Maria Esilio, non si è persa un'udienza del processo. Sempre vestita di nero, per il lutto che porta da ormai due anni. Teneva tra le mani una foto del suo Mario con l'uniforme militare: sorridente e felice, come negli scatti del loro matrimonio, celebrato a Somma Vesuviana 43 giorni prima della sua morte. Erano tornati da pochi giorni dalla luna di miele. Avevano una vita da vivere insieme e una famiglia da costruire. Alla lettura del dispositivo, la vedova è scoppiata a piangere, stringendo al petto la foto di Mario e tenendo con l'altra mano quella del suo avvocato, Massimo Ferrandino.

 

 

"Oggi è stata messa la prima pietra per una giustizia nuova - ha detto la moglie della vittima - L'integrità di Mario è stata dimostrata dopo tante insinuazioni. Questa sentenza è il frutto di un lungo e doloroso processo che non ci ridarà la nostra vita insieme. Arrivare fin qui è stato come andare in quell'ospedale. Non possiamo che ringraziare giudici e avvocati, e tutte le persone che sono state accanto a Mario perché era il carabiniere di tutti. Un marito e un uomo meraviglioso, un servitore dello Stato che merita rispetto e onore, che lui stesso ha dimostrato da martire". 

 

 

L’assassino reo confesso, in attesa del verdetto, stringeva tra le mani un crocifisso che portava appeso al collo. A un certo punto lo ha mostrato, attraverso la cella, all'amico coimputato alzando un dito al cielo, come per affidarsi a Dio. Dopo la lettura del dispositivo, invece, entrambi gli imputati sono rimasti impassibili: Elder aveva lo sguardo perso nel vuoto e ogni tanto scuoteva la testa, mentre Natale sembrava più presente a se stesso.

 

 

Durante il processo, la difesa di Elder aveva cercato di dimostrare la sua parziale incapacità di intendere e di volere, per ottenere uno sconto di pena, puntando ai suoi precedenti tentativi di suicidio e alla sua dipendenza dalla droga. Ma i periti psichiatrici nominati dalla Corte hanno dimostrato che non c'era nessun vizio di mente. Poi i legali hanno virato sulla tesi della legittima difesa. «L'uomo più grande, era una montagna, mi ha buttato per terra e si e messo sopra di me. Ho sentito le sue mani sul collo come stesse tentando di strangolarmi - aveva raccontato ai giudici Finnegan durante il suo esame - Allora sono stato preso dal panico, ho pensato che volesse uccidermi, ho preso il coltello e ho colpito diverse volte per cercare di togliermelo di dosso». «Credeva fossero banditi o mafiosi», ha aggiunto la fidanzata di Elder, rivangando il solito luogo comune americano secondo cui gli italiani sono quasi tutti mafiosi. Ma in realtà, subito dopo il suo arresto, i medici non hanno refertato un solo graffio o livido sul collo e, in genere, sul corpo del giovane di San Francisco.

 

 

Essendo stata questa la dinamica della colluttazione, non sarebbe stato possibile contemplare la legittima difesa anche se, al posto di un carabiniere, ci fosse stato un malvivente. Quindi anche il «dilemma» sul fatto che Cerciello e Varriale non si fossero qualificati come forze dell’ordine (nonostante il militare sopravvissuto abbia confermato la circostanza davanti ai giudici) non inficia in alcun modo il quadro accusatorio.
I giudici non hanno scagionato dalla responsabilità di concorso nell’omicidio nemmeno Natale Hjorth. Anche se è stato Elder a sferrare i fendenti, con un coltello che aveva messo in valigia insieme alla biancheria intima, secondo il pm «c'è stato il contributo e la consapevolezza piena di entrambi». È stato infatti l’italo-americano ad organizzare l'estorsione ai danni di Sergio Brugiatelli (l'uomo che ha fatto da intermediario tra i turisti e il pusher di Trastevere per comprare la droga) e a intimargli di presentarsi solo all'appuntamento. D’altronde solo Gabriel parlava e capiva l’italiano.

 

 

Per l'accusa è impossibile che non abbia visto Elder nascondere una lama di 18 centimetri nella tasca centrale della sua felpa, prima di uscire dall’hotel Meridién. «Vi abbiamo portato il coltello in aula, non è un oggetto piccolo - avevano ricordato i pm Nunzia D'Elia e Maria Sabina Calabretta durante la loro requisitoria, dopo aver chiesto l'ergastolo per entrambi - C'è differenza tra una tasca vuota e una piena». I due amici americani hanno mostrato una sintonia criminale anche dopo aver lasciato a terra esanime Cerciello: sono scappati, hanno lavato il coltello dal sangue e lo hanno nascosto nel controsoffitto della loro stanza d’albergo (le impronte erano di Natale). Poi hanno iniziato a preparare i bagagli, pronti salire sul primo volo per gli Stati Uniti con il peso di un delitto sulla coscienza.

 


In molti si sono chiesti se il processo avrebbe avuto lo stesso carico di dietrologie e ombre sull’operato dei carabinieri se alla sbarra, invece che due statunitensi, ci fossero stati due ragazzi africani, sudamericani o asiatici. Probabilmente no. Così come in molti si sono chiesti cosa sarebbe successo se fossero stati due ragazzi italiani ad uccidere, con le stesse modalità, un agente americano. Se i media statunitensi avrebbero alzato lo stesso polverone di dubbi sull’operato del loro poliziotto. È pur vero che anche gran parte della stampa italiana ha alimentato questa distorsione informativa, facendo credere che i pusher di Tratevere ai quali si erano rivolti Elder e Natale fossero degli informatori di Cerciello e Varriale, che i carabinieri volevano in qualche modo proteggere e vendicare. Tutte tesi campate in aria, che non sono mai state riscontrate da alcuna prova. Anche se è vero che «a caldo» - ossia subito dopo l’uccisione di Cerciello - i vertici dell’Arma hanno fatto poco per chiarire la dinamica dei fatti; spesso contribuendo inutilmente a infittire misteri che non c’erano. Tuttavia le indagini lampo dei carabinieri del nucleo investigativo hanno portato al fermo dei due turisti Usa, poche ore dopo il delitto, e poi a trovare le prove che hanno dimostrato la colpevolezza degli imputati, rendendo granitico il quadro accusatorio della Procura di Roma.

 


Alla fine la drammatica telefonata al 112, con cui Varriale chiede alla centrale operativa di far intervenire i soccorsi, riporta i fatti al loro nocciolo. In quel momento il carabiniere ha tra le braccia Cerciello che lotta per rimanere in vita, cerca di dargli forza, lo chiama disperato: «Mario, oh guardami Mario. Mario guardami... Mario ti prego... guarda qua. Stai tranquillo Mario, stai tranquillo». Nel frattempo dà indicazioni al telefono ai colleghi sulla via esatta in cui si trovano per far intervenire l'ambulanza: «Arrivate subito, perde un sacco di sangue il collega e respira a mala pena. Mi sono tolto la maglietta... sto tamponando io. Vi prego, vi prego! Mario dai, stanno arrivando Mario... dai che stanno arrivando, compagno mio! Oh, eccoli, li senti?». Un audio drammatico, straziante, in cui alla voce disperata di Varriale si alternano i rantoli di Cerciello, che a un certo punto dice con un filo di voce: «Sto male, sto male».

 

 

Dai blog