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L'ultima di D'Amato è il vaccino al ristorante

Damiana Verucci
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Da «untori», luoghi dove il virus si diffonde, posti a rischio assembramento e dove sanificazioni, igienizzazioni, distanziamento non servono evidentemente a nulla visto che sono tornati chiusi al servizio, a «perché non vaccinare all'interno dei ristoranti?».

 

 

L'ultima dichiarazione in una trasmissione televisiva dell'assessore regionale D'Amato ha fatto quasi sorridere i titolari dei ristoranti e dei bar romani. Sì perché detta così potrebbe passare davvero per surreale se non fosse che l'ha detta davvero, D'Amato, e la conseguenza è stata essere sommerso dalle critiche e dalle domande da parte dei diretti interessati.

«Delirio al potere – chiosa Paolo Bianchini, del movimento MIO Italia – ma come si può pensare solamente ad una cosa del genere? I nostri locali somministrano eccellenza enogastronomica, non presidi medici. Mi auguro sia stata una battuta infelice dell'assessore D'Amato e che si preoccupi di fare il suo dovere invece del comico televisivo».

Diciamo che il clima non è per niente sereno tra i titolari delle strutture di somministrazione e come dare loro torto dopo che per il secondo anno consecutivo gli si chiedono sacrifici enormi per di più sotto il periodo di Pasqua, in genere molto redditizio per le loro attività. C'è un problema di forma ma anche di sostanza in questo augurio a fare vaccini anche all'interno dei ristoranti.

 

 

«Forse l'assessore ci sta dando un'informazione in più? - domanda non senza ironia Andrea Rotondo, Presidente Confartigianato Roma – ovvero che andremo avanti con le chiusure ad oltranza di questi esercizi? Sì perché si cita il modello Israele e va benissimo se non fosse che Israele ha vaccinato in massa durante il lockdown e poi però ha riaperto tutte le attività, non mi sembra che da noi ci si stia muovendo in modo analogo. Come si fa a vaccinare con locali che teoricamente possono fare asporto e delivery? Oppure impediamo loro durante la vaccinazione dei cittadini di fare anche questo?».

Sorride anche Sergio Paolantoni, Presidente Fipe Confcommercio, che apprende la notizia con entusiasmo visto che è favorevole da sempre ad utilizzare qualsiasi luogo in questo momento vuoto o chiuso per vaccinare più cittadini possibili. Ma appunto, vuoto o chiuso e i bar e ristoranti almeno possono fare asporto e delivery in zona rossa o arancione e quindi non sono chiusi. «Ma non eravamo poi quei posti dove ci si assembra e dove il virus si diffonde molto di più che altrove?», domanda sarcasticamente Paolantoni.

Intanto sempre da Confcommercio arrivano previsioni davvero nere per Pasqua: secondo anno consecutivo con incassi ridotti anche del 60% rispetto al primo lockdown e anche se il 29 il Lazio dovesse tornare in zona arancione il numero dei ristoranti chiusi sarebbe lo stesso di oggi che la Regione è in rosso. Anche perché poco cambia agli esercizi di somministrazione tra un colore e l’altro. Soltanto magari c'è più gente in giro ma non conviene comunque «attrezzarsi per investire su un maggior numero di ore di servizio quando poi il 2 aprile si dovrebbe ritornare rossi per decreto». Ormai l'orizzonte dei titolari delle attività è il «dopo Pasqua» anche se, dice Claudio Pica Presidente Fiepet-Confesercenti, «tolto il Natale, la Pasqua, per tornare alla normalità non ci basterà un altro anno dal punto di vista degli affari».

 

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