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Inchiesta nomine, Virginia Raggi assolta

Andrea Ossino
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Ore 13,35. Cittadella giudiziaria di piazzale Clodio. Sala Europa del palazzo della corte d’Appello di Roma. Il Presidente del Tribunale Antonio Lo Surdo esce da una camera di consiglio durata un paio d’ore: “Conferma la sentenza emessa dal Tribunale di Roma”. Virginia Raggi è stata assolta dall’accusa di falso. Pantalone e tailleur neri, maglia rossa, scarpe basse: la Sindaca è rimasta impassibile mentre ascoltava la sentenza. Poi il responso e la reazione: scambi (ormai proibiti) di abbracci, lacrime e applausi. Il clima di tensione si è subito allentato.

È un copione di una scena già vista quello avvenuto pochi istanti fa tra le aule del Tribunale di Roma. Il Procuratore Generale Emma D’Ortona ha chiesto una condanna a 10 mesi di carcere nei confronti della Raggi. Ma la politica pentastellata è stata assolta. Proprio come accaduto l’ultima volta. 

Nel novembre del 2018 il pm Francesco Dall’Olio aveva sollecitato ai giudici di primo grado una condanna a 10 mesi di reclusione: riteneva che la Sindaca della Capitale non fosse stata vittima di "un raggiro ordito ai suoi danni" nell'autunno del 2016, durante le fasi che portarono alla nomina di Renato Marra alla guida della Direzione Turismo. Un raggiro che sarebbe stato ideato dallo stesso Renato e da suo fratello Raffaele, che all'epoca era alla guida del Dipartimento Risorse Umane. Ma il Tribunale aveva assolto la Raggi. Poi l’impugnazione della sentenza, il nuovo processo. E il medesimo risultato: la Raggi è stata assolta. Eppure le accuse erano precise: l’imputata "con una nota indirizzata al responsabile della Prevenzione della corruzione di Roma Capitale, confermava, contrariamente al vero – si legge nel capo d'imputazione – che il ruolo di Marra (Raffaele, ex capo del personale del Campidoglio ndr) in relazione alla procedura per la nomina del fratello (Renato, nominato al Turismo con un lauto aumento della retribuzione ndr) era stato di mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da lei assunte senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisione”. Il sindaco per la Procura avrebbe commesso un falso. Perché “Marra in questa realtà ci mette la manina, anzi ci mette la manona (…) e il sindaco lo sapeva”, aveva detto il magistrato Francesco Dall’Olio durante la requisitoria.

Il pm, insieme al procuratore aggiunto Paolo Ielo, aveva anche fornito alcune prove: le chat che dimostravano come la Raggi non conoscesse i dettagli della nomina della discordia. Dulcis in fundo un movente, anzi due: “proteggere Marra” (considerato “la chiavetta che mette in moto la macchina”) e “proteggere se stessi” dal “codice etico dei 5 stelle vigente all'epoca”, che creava numerose difficoltà ai politici indagati. Accuse, prove e moventi: argomenti che non hanno convinto il giudice. "Quando dopo l'interpello seppi del cambio di fascia salariale di Renato Marra mi infuriai con De Santis, perché dopo le riflessioni condivise sul ruolo di Renato Marra nella scelta dei ruoli dirigenziali della Polizia Locale mi sarei immaginata da lui una maggiore sensibilità politica", si è difesa la Raggi durante l’ultima udienza.

A quanto pare De Santis avrà poi compensato le lacune che la Sindaca contesta. A quei tempi infatti l’avvocato lavorava nell’ufficio di diretta collaborazione del Sindaco percependo uno stipendio simile a quello che ottengono i dirigenti del Comune. E’ stato assunto nell’estate del 2016. E sei mesi dopo l’Anticorruzione ha sollevato un polverone in relazione all’assunzione di Renato Marra che, a dire della Raggi, sarebbe stata una mossa di scarsa “sensibilità politica”. Il tempo poi avrà risolto ogni cosa. Perché nel gennaio del 2019 Antonio De Santis è diventato assessore al Personale di Roma Capitale.

“Questa è una mia vittoria e del mio staff, delle persone che mi sono state a fianco in questi quattro lunghi anni di solitudine politica ma non umana -  ha detto la sindaca Raggi dopo la sentenza - Credo che debbano riflettere in tanti, anche e soprattutto all'interno del MoVimento 5 Stelle. Ora è troppo facile voler provare a salire sul carro del vincitore con parole di circostanza dopo anni di silenzio. Chi ha la coscienza a posto non si offenderà per queste parole ma tanti altri almeno oggi abbiamo la decenza di tacere. Se vogliono dire o fare qualcosa realmente, facciano arrivare risorse e strumenti ai romani e alla mia città. C'è una legge di bilancio per dimostrare con i fatti di voler fare politica. Il resto sono chiacchiere”.

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