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Elezioni a Roma, Zingaretti e il Pd diventeranno i Raggi boys

Francesco Storace
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Anime candide volteggiano su Roma. Virginia ha già apparecchiato la tavola per il Pd. Non per il pranzo (primo turno), ma per la cena (ballottaggio). La servirà su un piatto d’argento, basta avere la giusta ricompensa. Del resto, se i grillini sono prossimi ad abolire la teoria bislacca del doppio mandato e a veleggiare verso le alleanze con i partiti con a benedizione della piattaforma Rousseau, figuriamoci che cosa osta al grande pateracchio persino nella Capitale…

Prepariamoci a vivere una campagna elettorale diversa da quel che si poteva immaginare sul fronte sinistro. Con il Pd che dovrà mandare alla solita scuola di formazione politica alle Frattocchie i suoi uomini e le sue donne per impartire bon ton. La Raggi potrà essere attaccata, ma pian pianino, che poi dovrà immancabilmente votarci contro le destre cattive.

I big non parlano più al Nazareno, e non perché si stiano godendo le vacanze. Semmai benedicono il Ferragosto perché non sanno ancora come prendere per il verso giusto quella “minaccia per Roma” (cit. Zingaretti) rappresentata dalla ricandidatura della sindaca in uscita.

Però hanno già messo assieme il diavolo e l’acqua santa col governo Conte e alcune – anche se ancora poche – realtà regionali, figuriamoci se li spaventa il tentativo di farlo su Roma. Del resto, aiuta il sistema elettorale: divisi al primo turno senza farsi troppo male, (da Attila Virginia diventerà inesperta), e al ballottaggio si compirà la grande ipocrisia. 

Dovranno farlo l’accordo. L’uno vale l’altra, diranno. Il che non vuol dire aver vinto. Ma ci proveranno. Con l’arte dell’inganno in cui eccellono.

Bastava leggere l’intervista che l’ex vice di Nicola Zingaretti, il deputato europeo Massimiliano Smeriglio, ha dato al Manifesto. Un capolavoro di doppiezza.

Prima trucido: la Raggi ha provocato “effetti devastanti sul corpo e sull’anima della città, al punto da minacciare l’immagine di Roma nel mondo”. Una descritta così dovrebbe essere prossima alla rivoluzionaria ghigliottina. Macché: un minuto dopo arriva la strategia lucrativa. “Una forma di desistenza si può immaginare per il secondo turno”. Ma no? Chi l’avrebbe mai detto… E la chiamarono desistenza…

La realtà è che nella confidenza tra chi si conosce bene, nel Pd sono combattuti. C’è chi si affanna a dire che un accordo con la Raggi non può resistere, “anche se ci hanno abituato all’assurdo, ma non regge né politicamente né elettoralmente”. Già, perché qui sta il problema del Pd: anche se facciamo un accordo “con quella, quanti elettori scappano da noi e da lei?”, sospira un altro pezzo da novanta del partito…

Figurarsi se Zingaretti può permettersi di far parlare di possibili intese su incarichi alla Raggi. Raccontano che si sia molto arrabbiato per una dichiarazione di ieri del senatore Francesco Giro, forzista di rito salviniano, che ha sparato una ipotesi che oggi sembra fantascienza ma domani chissà. Sindaco Pd e Raggi vicesindaco.

Il governatore l’ha presa male, come se un esponente del centrodestra debba rendere conto a lui di quello che ipotizza. Ormai siamo alla pretesa dell’obbedienza in campo avverso.

In realtà Zingaretti si inquieta non perché consideri immorale un patto con la Raggi, ma semplicemente non tollera che se ne parli per non far fuggire i suoi verso Matteo Renzi o Carlo Calenda che non a caso stanno sulla riva del fiume ad aspettare. Comincerebbe in anticipo la via crucis sulle promesse di assessorati.

Per realizzare la profezia di Giro bisogna vincere le elezioni. E chi glielo dice a chi dovrebbe votare Pd per cacciare lei, che vogliono mantenere Virginia nella stanza dei bottoni? 

Compagni contr’ordine, non insultiamola più.

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