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«Giacomo deve uscire da Rebibbia»

Il figlio di Loretta e nipote di Kim Rossi Stuart va curato fuori dal carcere

Stefano Liburdi
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Giacomo non deve stare in carcere e pertanto va rilasciato il prima possibile e ricoverato in una struttura adeguata dove possa essere assistito. C'è voluta la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per ribadire un'evidenza provata da fatti e da relazioni psichiatriche dove Sy Giacomo Seydou era risultato «totalmente inidoneo al regime carcerario». Eppure il ragazzo ha dovuto subire 10 mesi di detenzione in attesa di un ricovero, mai avvenuto, in una Rems (Residenza Esecuzione Misura di Sicurezza). Giacomo, figlio di Loretta Rossi Stuart attrice e sorella d'arte, ha cominciato a manifestare i primi deliri a sfondo persecutorio a diciotto anni. L'esplosione del quadro psicotico è stata «preceduta da un periodo di uso di sostanze stupefacenti». La diagnosi finale è stata chiara: «Disturbo Bipolare». La mancanza di posti unita all'intasamento delle liste d'attesa e alla mancanza di comunicazione tra enti e istituzioni, determinano che, qualora non ci sia posto nella struttura indicata dal magistrato (caso più che probabile ndr), unica alternativa rimanga il carcere. Tante le persone bloccate in questo limbo, svariati i suicidi nell'attesa che si liberi il posto. Giacomo ha tenuto duro pur tra mille difficoltà. Lui, pugile con «l'oro tra le mani», come dicono i suoi compagni di ring, tra quelle mura continua ad allenarsi per inseguire il suo sogno: partecipare alle olimpiadi. Fuori la madre con le avvocatesse dello studio legale Saccucci e Partners, Valentina Cafaro e Giulia Borgna, con la garante comunale Gabriella Stramaccioni e con il legale Giancarlo Di Rosa, non ha smesso un attimo di dare battaglia che l'ha portata fino al ricorso alla Corte Europea e a un primo parere positivo. La stessa Corte ha recepito anche il secondo ricorso sulla violazione dei diritti, inviando precise domande a cui lo Stato italiano dovrà dare risposta. Loretta può sorridere ma sa che il percorso è ancora lungo e pieno di preoccupazioni: «Colloqui sospesi, timori di contagio del Covid-19, certezza di crollo psicologico. L'ultima volta che l'ho visto su skype 15 giorni fa, era lui a tranquillizzare me: Giacomo, coraggioso e fragile gigante buono, spero leggerai su questo giornale che a breve ti dovranno trasferire, far uscire da questo tunnel e tu procederai passo passo verso la luce, le Olimpiadi sono ancora all'orizzonte!».

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