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Camicia Verde non avrai il Gra

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Roberto Castelli

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Metti, leva, metti, leva... sta storia dei pedaggi ha stufato. Anzi, mettiamola così, e sia chiaro una volta per tutte: se per colpa dei leghisti il Grande raccordo anulare dovesse diventare a pagamento, sarebbe la volta buona che 3 milioni di romani, con la stessa pazienza che hanno in mezzo al traffico, salgono sul Monviso e un tappo alla volta t'attappano la sacra sorgente d'Eridano. Stavolta non c'è Pajata che tiene. Passi il «Sono Porci Questi Romani» di Bossi, passi il complimento di ieri del viceministro Castelli, «I romani sono culturalmente arretrati», ma sul Gra non si scherza, anzi, non "se passa" proprio. E siccome i cittadini che passano tutti i giorni un'oretta della loro vita in coda sul Raccordo si sono affezionati a questo gioiellino, anzi, se lo sono guadagnato, non perdonerebbero allo Stato l'affronto di doverselo ricomprare pagando un euro di pedaggio. Manco un centesimo. I politici possono rispondere quanto vogliono alle «fregnacce» che sparano a intermittenza i leghisti, crogiolarsi nei loro botta e risposta, discutere su quanto valga in Parlamento un ordine del giorno, su quanto debba Berlusconi a Bossi, o farsi la guerra e la pace bipartisan (vedi Pdl e Pd romano) su un nodo politicamente tattico come quello del Gra. Possono pure fare i pranzi riparatori, ma non sottovalutino - Berlusconi in primis - il legame coniugale che stringe i romani all'anello che, come canta Guzzanti, "circonda la Capitale". Ma facciamo un passo indietro, a ieri, quando un nuovo dietrofront del Governo a Montecitorio sulla questione del pedaggio ha infiammato lo scontro Lega-Capitale, sfociando nell'ennesimo insulto di una camicia verde, in questo caso Castelli. Una bagarre inevitabile visto che l'altro ieri mattina un altro esponente del Governo aveva accolto un ordine del giorno dell'onorevole Saltamartini (Pdl) impegnandosi, di fatto, a rinunciare ai pedaggi. Martedì, quindi, la questione sembrava archiviata con conseguente giubilo di Alemanno, Polverini, Zingaretti e tutto il resto, compatto, della combriccola laziale. Ieri, poi, il "patatrac", con l'integerrimo Castelli che non ha voluto sentire ragioni: il pagamento è previsto dalla manovra 2010 e non può essere cancellato con un tratto di penna. Quindi gli ordini del giorno accolti martedì in aula non hanno valore: la legge in primis. Un'argomentazione che non ha convinto Alemanno, Zingaretti, Polverini, perfino Di Pietro, figuriamoci quanto possa convincere i romani. La Polverini ha chiesto al Governo di attuare gli ordini del giorno della Camera, minacciando battaglia a suon di ricorsi. Sulle barricate anche il sindaco Alemanno che dopo infinita pazienza politica, è sbottato: «Da parte mia tutta l'opposizione al decreto. Non può passare. Siamo stanchi di queste offese gratuite. Chi dice certe cose dimostra di non avere nessuna capacità di governo e quindi dovrebbe stare zitto». Ma «il mejo» è stato Zingaretti, che dalle fila del Pd ha potuto osare di più: «Un tipo come Castelli in qualsiasi paese del mondo potrebbe fare a malapena l'attacchino». Alla fine, in tarda serata, è arrivata la precisazione del viceministro leghista: «Non parlavo dei cittadini romani. Mi riferivo alla classe politica». Il solito metti e leva, insomma, che parafrasando un francesismo di Gigi Proietti, «c'ha rotto er ca'...».

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