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Tsunami olimpico I Giochi non sono fatti

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.Sono bastate due parole, venerdì scorso, al presidente del Comitato promotore per la candidatura di Roma a ospitare le Olimpiadi 2020 per spiegare cosa significhi la candidatura di Parigi. Certo la Capitale francese fa paura e non solo perché ha perso al fotofinish i Giochi 2012 andati a Londra. Fino a pochi giorni fa sembrava che Roma dovesse confrontarsi con Tokyo e Durban (Sudafrica). E, con un pizzico di fortuna e con l'assegnazione delle Olimpiadi invernali 2018 il prossimo luglio alla sudcoreana Pyeong Chang (sconfitta già due volte da Vancovuver 2010 e Sochi 2014 e quindi più avanti rispetto ad Annecy e a Monaco di Baviera), riportare le Olimpiadi a Roma poteva essere una missione possibile. Ora il quadro si complica. Non solo perché Parigi non ospita i Giochi dal 1924 e Roma dal 1960 (anche se la eco della kermesse capitolina ancora oggi non è spenta). Ma anche perché il terremoto che ha devastato il Giappone rende indecifrabile il comportamento del governo nipponico sulla candidatura di Tokyo. «Non è mai avvenuto un corto circuito tale per cui un Paese che deve ricostruire metta al primo posto, tra le priorità, la costruzione di impianti sportivi. Le due cose, quindi, devono rimanere indipendenti per evitare strumentalizzazioni», taglia corto il sindaco Alemanno ricordando che «siamo tutti molto vicini al popolo giapponese» e aggiungendo: «La candidatura di Tokyo è di grande prestigio e da valutare con molta attenzione». Insomma, la Capitale giapponese continua a fare paura ma una sua candidatura pare più lontana. I tempi sono stretti e non è detto che il Paese del Sol Levante possa portare avanti la candidatura olimpica e la ricostruzione post-sisma. In ogni caso, Tokyo e Parigi non sono le uniche città a fare paura. All'orizzonte c'è l'ipotesi dell'indiana Bombay, ad esempio. Senza contare quella di un Paese del Golfo Persico. Paiono tramontate le velleità di Madrid, Instanbul e San Pietroburgo. Intanto qualcosa si muove nel Comitato promotore. Mentre proseguono le riunioni per mettere a punto la macchina, il Partito democratico sembra uscire dall'angolo. Il presidente Pescante avrebbe infatti incontrato il segretario Bersani e il presidente della Provincia Zingaretti per nominare il terzo vicepresidente in quota Pd. Formalmente si mantengono le distanze, ma sotto traccia la diplomazia è al lavoro. L'ala dura e pura di Veltroni e Bettini accusa il colpo.

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