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di CARLO ANTINI Mick Jagger vuol dire rock.

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Sullacresta dell'onda dal 1964, Jagger non ha mai smesso di stupire e incantare, far innamorare e discutere anche quando la sua carriera sembrava giunta al punto di non ritorno. La sua bocca carnosa è diventata simbolo stesso del rock, con una linguaccia-logo che sintetizza meglio di mille parole la carica sensuale, dissacrante e ironica del rock 'n' roll. La vita di Mick Jagger è un prisma attraverso il quale si può vedere non solo la storia del rock ma quella del costume, dei miti e dei riti della seconda metà del Novecento. La sua immagine è diventata icona di show business: copiata, fotografata, oltraggiata e consumata da tutti a tutte le latitudini. Il corpo di Mick Jagger si è trasformato nella materia plastica prediletta da pittori e fotografi, diventando in breve tempo il modello d'ispirazione per vere e proprie serie artistiche. Ne sanno qualcosa le decine di fotografi che in cinquant'anni lo hanno immortalato, rendendolo testimone in carne e ossa dei cambiamenti del costume nell'occidente ricco e ribelle. Un'antologia delle migliaia e migliaia di foto sparse in tutto il mondo viene offerta in questi giorni nel foyer dell'Auditorium che ospita «Mick Jagger - The photobook». Attraverso gli obiettivi di Goodwin, Mankowitz, Leibovitz, Lagerfeld e Corbijn l'uomo viene messo al centro, con i suoi vezzi, le sue vanità e la sua profondità. Il sessismo, il patto col diavolo, l'avanguardia esplosiva prima e il classico evergreen dopo, tutte le leggende, gli stereotipi e i luoghi comuni sembrano superati dalla stessa retrospettiva. Anche nelle immagini private il corpo di Jagger rappresenta sempre il rock che va in scena, la musica che si fa spettacolo. Il cantante appare vestito da donna, mascherato da tigre o da demone, avvolto in vestiti alla moda, oppure nudo e fragile come un novello San Sebastiano. Gli scatti proseguono attraverso figure intere e particolari, arrivando fino all'estremo, fino all'esposizione del braccio martoriato, tagliato e ricucito dopo un incidente. Tra una serigrafia di Andy Warhol e un ritratto dell'italiano Cecchetti, Mick rinasce ancora una volta sempre uguale a se stesso. E sempre diverso. Magari fischiettando «Sympathy for the devil».

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