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Il quartiere è con Busco

Raniero Busco

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Innocente. Questa è la «verità» secondo la gente che abita a Morena, quartiere nella periferia sud-est della Capitale. Chi conosce Raniero Busco non crede sia lui il mostro che ha ucciso, vent'anni fa, la fidanzata Simonetta Cesaroni. «Non è lui che l'ha massacrata – dice una cliente della panetteria a pochi passi dall'abitazione di Busco - a ogni udienza siamo scesi in massa a piazzale Clodio per sostenerlo; e continueremo a farlo. Vogliamo sapere il nome del killer». Perché Morena, spiega la bidella della scuola Centroni, «è come un paese, ci conosciamo tutti. La sua famiglia vive qui da sempre». «Anche se fosse colpevole – dicono Pamela e Teresa che gestiscono il bar Ice&caffè – una sentenza dopo vent'anni non ha senso». «L'ho incontrato al supermercato Simply qualche giorno fa – racconta Emanuela – quando ho incrociato il suo sguardo languido, ho avuto voglia di andarlo ad abbracciare per dimostrargli solidarietà: per me non è colpevole, ma c'è qualcosa di grosso che devono coprire». Chi lo conosce parla di una persona «buona, educata e molto riservata». Hanno formato una bella famiglia, lui e la moglie Roberta Milletarì, il loro matrimonio dura da tredici anni. Hanno due gemelli di nove anni. Gioia, la loro maestra all'asilo, dice che «la famiglia è sempre stata unita e partecipe alla vita scolastica dei bimbi». Conferma anche Tiziana, la coordinatrice scolastica: «Mai avuto nulla da eccepire, ho saputo chi fosse guardando la tv». Per molti già questo è una prova della sua innocenza: «Un uomo che ha avuto la forza di rifarsi una vita normale – dice un anziano davanti la parrocchia Sant'Andrea, chiusa come al solito - non può aver commesso il delitto di cui lo accusano. Io non ci credo e non ci ho mai creduto. Certo, se fossi un parente di Simonetta cercherei il suo assassino fin sotto terra». «Lo conosco fin da bambino, giocavamo al biliardino insieme - aggiunge Alessandro, panettiere - Non può essere stato lui. È sempre stato il classico bravo ragazzo, quello che non si sporcava mai, sempre vestito a puntino: poi ci siamo persi di vista». «Raniero è innocente – dichiara deciso Cristiano – ma l'hanno messo in mezzo». «Tutta questa storia è stata un'ingiustizia – controbatte Sabrina del bar di via Niobe, dove la sera sono in molti gli amici di Busco che si ritrovano come facevano da giovani – dovrebbero sentire la moglie e il figlio di Pietrino Vanocore, e poi Federico Valle che un austriaco accusò di aver ucciso Simonetta, l'altro avvocato, il datore di lavoro di Busco, non i compagni che frequentava al bar. Queste sono storie più grandi di noi». Intanto la parola passa al suo legale, Paolo Loria, tra i pochi a varcare la soglia del civico 35 di via del Fosso Centroni. Entrato in casa Busco alle 13.20 per uscirne alle ore 14,52, ha detto: «Il momento è troppo difficile, non possiamo parlare. Pensiamo all'appello. Ma tenetevi pronti: solleveremo il caso. Perché questa è una sentenza che va "sopportata". Come si può incolpare facendo passare le prove raccolte per certezze? È sotto gli occhi di tutti: la cosiddetta prova scientifica senza arma del delitto, senza perizia che possa dire Busco è un pazzo. Non hanno creduto ad Anna Rita Pelucchini, che qualcuno ipotizza si potrebbe anche essere messa d'accordo con la famiglia. Ma non hanno creduto anche al giornalista che intervistò Raniero Busco il 2 settembre 1990. È tutto da chiarire». Intanto qualche amico va a far visita a Busco, che può contare su un «avvocato» in più, il suo quartiere: «Non lo lasceremo mai», dice Valentino, del Bar Fiore a 20 metri da casa di Raniero. «Siamo molto dispiaciuti, pensiamo una cosa così possa accadere a chiunque di noi. E confidiamo che in secondo grado si faccia luce sul caso. Perché ci sono due vittime: oltre alla povera Simonetta, c'è anche la famiglia di Raniero».  

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