Dopo vent'anni di dubbi il verdetto su via Poma
Due parole. Una la ascolteremo questa sera. La prima è «innocente». Se sarà questa a risuonare nell'aula-bunker di Rebibbia, Raniero Busco tirerà un lungo sospiro di sollievo e potrà continuare la sua vita accanto alla moglie Roberta e ai loro gemellini. Ma l'oscuro, raccapricciante e inspiegabile delitto di via Poma resterà senza soluzione. E l'assassino di Simonetta Cesaroni senza un volto. Se, al contrario, la III Corte d'assise presieduta da Evelina Canale stabilirà che l'operaio di Morena è un mostro rimasto impunito, silente e mimetizzato nel suo rassicurante rifugio domestico per vent'anni, allora l'inevitabile processo d'appello dovrà passare al setaccio le prove con le quali il pm Roberto Cavallone nella fase «istruttoria» e la sua collega Ilaria Calò fino al giudizio hanno costruito il castello accusatorio. Un teorema che si basa sull'esclusione di altri possibili responsabili per arrivare all'ex fidanzato della vittima. Lo ha fatto capire più volte il pubblico ministero. Lo ha sottolineato l'avvocato difensore Paolo Loria, parlando di Busco come «imputato residuale». Esaminiamo gli elementi che potrebbero inchiodare Raniero e quelli che potrebbero scagionarlo. L'alibi. L'ora del delitto è incerta. Nessuno può dire con precisione in che posizione erano le lancette quando il cuore di Simonetta si è fermato. Se però l'impiegata dell'Aiag Luigia Berrettini le ha parlato alle 17.45 e lei ha lavorato una decina di minuti dopo quella telefonata, non può essere morta prima delle 18. Che faceva Busco in quel momento? L'8 agosto fu interrogato a lungo in Questura. Ma non glielo chiesero. O non lo misero a verbale. La difesa ha portato in aula testi che lo scagionano. Il pm sostiene che mentono e ne ha fatti indagare due per falsa testimonianza. Le prove scientifiche. Sono il sangue sulla porta della stanza dove è stato trovato il cadavere la sera del 7 agosto 1990, la «presunta» saliva sul corpetto e sul reggiseno della ragazza e il morso sul capezzolo. La prima delle tre è stata definita «inconcludente» anche da uno dei periti dell'accusa. Poi ci sono i segni sul seno sinistro. Secondo il pm, Busco ha morso la fidanzata durante preliminari erotici mentre lui e Simonetta erano in piedi nell'ufficio Aiag quel maledetto pomeriggio d'estate. Tuttavia, ammesso che sia la traccia di una morsicatura, è difficile dire se l'impronta dentaria corrisponda a quella dell'imputato. Oltre alle fisiologiche mutazioni dell'arcata nel tempo, infatti, le micro-ferite non sono una traccia completa della bocca di Busco. L'unico dato tecnico condiviso da accusa e difesa è un «deposito» di materiale organico di Busco sugli indumenti intimi della vittima. Il pm è sicura che sia di saliva. Loria, no. E non è un dettaglio irrilevante: essendo in corrispondenza (dicono i consulenti della Procura) con il presunto morso, la presenza di saliva rafforzerebbe la tesi accusatoria. Inoltre, la difesa ricorda tre cose: i reperti (corpetto, reggiseno e un paio di calzini) sono stati conservati insieme nella stessa busta per quattordici anni e c'è il rischio di contaminazione; l'imputato aveva visto la fidanzata il sabato e il lunedì precedenti al martedì del massacro e, quindi, può aver lasciato le tracce biologiche in quelle occasioni; non è stato scientificamente dimostrato che si tratta di saliva, ma potrebbe essere sudore o altro. Al secondo punto, il pm replica che Simonetta si cambiava spesso la biancheria intima e non può aver indossato la stessa per due o più giorni di seguito. Il movente. Per l'accusa quello di via Poma è un delitto d'impeto. Perciò non esiste un movente premeditato. C'è una possibile origine del diverbio che porta all'omicidio e c'è una causa scatenante del «raptus». Simonetta e Raniero - sostiene Calò - litigano perché lei gli aveva detto che prendeva la pillola e non era vero. E, pensando di avere un ritardo del ciclo, può aver messo a parte il fidanzato del timore di essere incinta. Notizia che lui avrebbe accolto con rabbia visto che, come si capisce da alcune lettere della ragazza, lei era innamorata e lui no. Ma è verosimile che Busco uccida per una paternità non voluta? Possibile. Probabile? La causa scatenante sarebbe proprio il morso al seno. Simonetta reagisce afferrando il tagliacarte, Raniero le sferra un manrovescio che la tramortisce, le strappa di mano l'arma improvvisata e la colpisce. Ventinove volte. Sul torace ma anche sul seno, sul pube, affondando la lama anche all'interno della vagina. Una furia bestiale. Che il pm ha collegato al «carattere violento» del meccanico, a sua volta dimostrato dalle liti familiari e condominiali, e però smentito in aula dai suoi amici e anche da quelli della povera Simonetta. La difesa osserva che non avrebbe avuto senso che Busco attraversasse la città e si recasse in via Poma per quell'incontro amoroso finito in tragedia perché aveva visto la fidanzata la sera prima e l'avrebbe potuta rivedere la sera stessa. In quell'ufficio, poi, poteva entrare in qualsiasi momento il portiere o uno degli impiegati in possesso della chiave. Insomma, in un processo che si celebra a un ventennio dai fatti ed è basato più su ipotesi logiche e sofisticate perizie tecniche che non su elementi testimoniali, in un caso o nell'altro, l'unica certezza resterà il dubbio.