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Scontri a Roma, delinquenti in libertà

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Maroni: dovevano restare in carcere

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Sono stati accolti dagli amici davanti al Tribunale di Roma come degli eroi. Urlavano slogan di vittoria, come se avessero sconfitto la giustizia. Sorridevano e alzavano le braccia in segno di libertà i ventidue giovani arrestati per gli scontri nel centro della Capitale mentre lasciavano il palazzo di Giustizia. Sì, sono tornati a casa, ma prima di poter lasciare le aule di giustizia le Corti hanno convalidato l'arresto di tutti e 23 i ragazzi fermati martedì scorso. Soltanto nei confronti di uno di loro, Mario M., di 32 anni, figlio di un avvocato penalista romano e di Vincenzo M., leader storico dell'Autonomia operaia romana negli anni Settanta, sono stati disposti gli arresti domiciliari poiché al momento del fermo sarebbe stato trovato in possesso di sei chili di sassi. Il bilancio finale delle udienze per direttissima che si sono svolte ieri in cinque aule differenti, è stato dunque di sedici ragazzi rimessi in libertà senza alcuna misura restrittiva, di tre giovani con l'obbligo di firma e di altri tre a cui è stato vietato l'ingresso nella Capitale (per Dario C., Emanuele G. e Fabrizio R, tutti genovesi) e solo uno ai domiciliari. «Liberi, liberi», hanno urlato davanti alla seconda sezione del Tribunale una ventina di amici degli studenti, ricercatori, figli di avvocati e insegnati e giocolieri appena è arrivata la decisione dei giudici di liberarli dopo la convalida del fermo con le accuse, a seconda delle posizioni processuali, di resistenza aggravata a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato. «Mio figlio è un ragazzo tranquillo, lo chiamano "l'inglese" per i suoi modi cortesi: non aveva alcuna pietra con sé, è una cosa che non sta né in cielo né in terra. Lui aveva solo una bomboletta spray», ha detto l'avvocato, madre del ragazzo ai domiciliari.  Per i giudici, dunque, una notte in cella dovrebbe bastare a dissuadere i ragazzi a compiere nuovamente atti del genere. «Non si ravvisano esigenze cautelari, attesa la eccezionalità dell'evento nel quale le condotte incriminate hanno trovato occasione di manifestarsi, la giovane età e lo stato di incensuratezza degli arrestati, elementi questi, che inducono a ritenere che la pur breve privazione della libertà personale subita abbia avuto una efficacia deterrente idonea a dissuaderli dalla reiterazione di analoghe condotte delittuose», si legge nel provvedimento dei giudici. Ieri il palazzo di Giustizia è rimasto blindato tutto il giorno: forze dell'ordine in tenuta antisommossa davanti agli ingressi del Tribunale e agenti in divisa e borghese di fronte alla aule dove si svolgevano le convalide. Tra le aule si aggiravano gli amici degli arrestati. I compagni. Molti sono convinti che il caos di martedì non è stato scatenato da chi è sotto processo. «Quelli lì dentro stavano al corteo di sicuro ma non hanno scatenato il caos - spiega Michele, studente universitario di Spinaceto - sono dei cretini e diversi da noi i ragazzi con i caschi e le spranghe in mano. Mi fanno passare la voglia di manifestare». A sentire la versione degli amici, la polizia avrebbe addirittura lasciato sfogare i black bloc: «Lo hanno fatto per spostare l'attenzione dei media dal voto di fiducia alla guerriglia in strada». E intanto fuori dal Tribanle, mentre i giornalisti venivano insultati al grido di «sciacalli!», uscivano i primi manifestanti rilasciati. «Liberi! Liberi!», era l'urlo di vittoria. In attesa del 23 dicembre, giorno dell'inizio del processo.

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