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Uccidere a tutta velocità non vale una pena esemplare

Stefano Lucidi (Foto Gmt)

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Basta esprimere stupore e sorpresa quando si investe e uccide qualcuno con una vettura per non rischiare una pesante condanna. Non solo. Se si è coscienti di rischiare la vita correndo con la vettura, passando con il semaforo rosso e superando i limiti di velocità non si può infliggere una pena esemplare al conducente dell'auto killer. Sono queste alcune delle motivazioni della Cassazione che ha confermato lo scorso 18 febbraio cinque anni di reclusione per Stefano Lucidi, che ha investito e ammazzato i due fidanzati Alessio Giuliani e Flaminia Giordani sulla via Nomentana il 23 maggio del 2008. I Supremi Giudici spiegano inoltre che «sussiste il dolo eventuale quando l'agente accetta il rischio che quell'evento si verifichi come risultato della sua condotta, comportandosi di conseguenza, anche a costo di determinarlo e che sussiste invece la colpa cosciente, aggravata dalla previsione dell'evento, quando l'agente, pur rappresentandosi l'evento come possibile risultato della sua condotta, agisca tuttavia nella previsione e prospettazione che esso non si verifichi». Nel momento in cui ha colpito con la sua Mercedes il motorino delle due giovani vittime, secondo quanto raccontato da Valentina Giordano, fidanzata del conducente presente in auto con lui, Lucidi ha manifestato subito stupore. Per questo i giudici del «Palazzaccio» di piazza Cavour sostengono che non c'è stata la volontà di provocare un incidente stradale. Insomma, non voleva uccidere la coppia di ragazzi all'angolo tra via Nomentana e via Regina Margherita. È stato dunque respinto il ricorso della procura generale di Roma che aveva chiesto di porre un «innovativo sigillo, «travolgendo il modello giovanile della cultura della morte e riaffermando il principio della sacralità della vita». Infine l'Associazione italiana Familiari e vittime della strada, rappresentata dall'avvocato Gianmarco Cesari, preannuncia «un ricorso alla Corte europea dei Diritti dell'uomo lamentando l'ingiustizia della sentenza».

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